Cercare un’altra strada
Piero Piraccini
Occorrerebbe una politica attenta di cui si vedono deboli tracce. Perché c‘è sempre dell’altro cui riservare le priorità.
Le terre promesse, quelle pensate ma non ancora trovate e, però, già presenti nelle carte del Gran Khan. Per quali vie si possono incontrare, Marco Polo? L’esploratore non sa dire: il suo viaggio è discontinuo e fatto di frammenti, ma può darsi che esse stiano già affiorando durante quel dialogo. Il Gran Khan, tuttavia, che nelle sue carte legge anche i nomi delle città degli incubi, teme che sia tutto inutile perché una corrente rischia di risucchiare ogni vita verso la città infernale. Polo gli risponde che “l’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà: se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando assieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e divenirne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere che e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare e dargli spazio”.
Se Calvino avesse scritto “Le città invisibili” oggi, avrebbe trovato fin troppa materia per arricchire ulteriormente quel dialogo. Gli odierni inferni di Aleppo e di Mosul, di Baghdad e di Misurata, di Kabul, di San’a, di Gaza, di…; quelli di altre dimensioni, ma ugualmente inferni, a Parigi, Berlino, Bruxelles, Istanbul troverebbero posto nelle carte del Gran Khan fino a rendere davvero invisibili le terre promesse. Dove si scontrano, spesso per interposte potenze, eserciti con gruppi di miliziani o singoli elementi con la popolazione civile, con un solo obiettivo: il caos foriero di nuovi assetti geopolitici, ammantato da motivazioni religiose rinnegate nello stesso momento in cui si dichiara di agire in loro nome.
La corrente che tutto ha risucchiato verso le città infernali ha avuto inizio 14 anni fa, quando il tandem Washington-Londra (Bush-Blair) ha lanciato un’invasione militare all’Iraq che ha provocato il fallimento degli Stati- nazione creati artificialmente dal colonialismo europeo un secolo fa, e la crescita di movimenti Jihadisti sunniti tra le macerie d’istituzioni internazionali sorte “per salvare le future generazioni dal flagello della guerra”. Obiettivi non detti: controllare le risorse energetiche di quelle terre, ché nessuno penserebbe mai di ‘portarvi la democrazia’ se i sottosuoli fossero ricchi solo di carote, e lucrare sulla vendita di armi. Fa fede il programma di ammodernamento nucleare deciso dagli Stati Uniti (mille miliardi di dollari nei prossimi trent’anni) che riguarda anche le 70 bombe atomiche degli arsenali di Ghedi e di Aviano, da sostituire con nuove bombe all’idrogeno B61-12.
La follia di questa spesa, la nuova corsa agli armamenti che sarà innescata, il rischio che per la prima volta dopo Hiroshima si sdogani l’uso delle armi nucleari, costituiscono problemi cui non si fronte perché – scriveva Calvino – per non soffrire, si accetta l’inferno fino al punto di non vederlo più. L’altra strada, a fronte degli inferni quotidiani: atti di terrorismo imprevedibili, abusi sui migranti, devastazione dell’ambiente, è quella che, individuati i signori della guerra che traggono benefici dalla spirale di violenze senza fine, cerca di dare spazio a quello che inferno non è. E’ la ricerca puntigliosa di chi opera per la pace. Di chi non si stanca di camminare per la pace cercando di incontrare altri nel suo cammino. Di chi opera nelle e con le scuole perché le scuole o sono di pace o non sono; perché nelle scuole non c’è solo il futuro ma anche il presente. E chi, se non chi copre cariche istituzionali, deve per primo operare scelte che assumono a riferimento la famiglia umana nel suo complesso, per spezzare la logica della violenza e dello sfruttamento? E allora, per non ripercorrere la strada dell’impoverimento e delle guerre, è indispensabile trovarne un’altra per cui l’amministratore delegato di Finmeccanica, Mauro Moretti, non possa dire: “Si tratta del più grande traguardo commerciale mai raggiunto”, dopo l’accordo con l’Arabia Saudita per fornirle 28 caccia Eurofighter. Così, dallo Yemen bombardato fuggiranno in massa, per deserti di sabbia o per acque tempestose, fino ai confini delle nostre città.
Occorrerebbe una politica attenta di cui si vedono deboli tracce. Perché c‘è sempre dell’altro cui riservare le priorità. Fino alla prossima chiamata in piazza come risposta al prossimo atto terroristico. Pressoché inutile se nell’intervallo fra una piazza e un’altra non si dedica il tempo che serve per sondare le ragioni della violenza. A questo avrebbero dovuto dare impulso le delibere che centinaia di comuni hanno approvato gli scorsi anni, di sostegno al diritto alla pace. A partire da questo dovrebbe trovare posto una politica degna di questo nome. Avrebbero dovuto e dovrebbe, appunto.