Freedom Flotilla. I risultati dell’inchiesta del Consiglio Diritti umani dell’Onu
Michele Giorgio, Il Manifesto
Mentre a Gerusalemme è stato bloccato l’accesso alla Spianata delle moschee, nel rapporto diffuso dalla Commissione d’inchiesta del Consiglio dei Diritti Umani dell’Onu che «Israele ha violato il diritto internazionale».
La Turchia «apprezza», Israele lo respinge con sdegno. Ma al di là di prevedibili reazioni, il rapporto diffuso mercoledì sera dalla Commissione d’inchiesta del Consiglio dei Diritti Umani dell’Onu, che condanna l’attacco israeliano alla Freedom Flotilla dello scorso 31 maggio, riafferma in modo netto il dovere che tutti gli stati, senza eccezioni, hanno di rispettare il diritto internazionale. In queste ore esprimono sollievo e soddisfazione le famiglie dei nove cittadini turchi uccisi dai soldati israeliano sulla nave «Mari Marmara» ma anche le centinaia di attivisti, e non pochi giornalisti, fermati e di fatto, sequestrati in acque internazionali dalla Marina israeliana. Tutti vennero incarcerati (e rispediti nei paesi d’origine dopo qualche giorno) e molti di loro persero tutto: computer, telefoni cellulari, bagaglio. Qualcuno, come il reporter italiano Manolo Luppichini, ha anche scoperto che qualcuno in Israele ha usato la sua carta di credito. Israele con l’appoggio statunitense, si è rifiutato di collaborare con la commissione istituita dal Consiglio per i Diritti Umani dell’Onu. Tel Aviv sostiene di avere il diritto per ragioni di sicurezza, di imporre il rispetto del blocco navale che attua davanti alle coste di Gaza e ha avviato due inchieste interne, civile e militare. Ma il rapporto – redatto dai giudici Desmond de Silva e Karl T. Hudson-Phyllips e da uno stimato avvocato malese diritti delle donne, Mary Shanthi Dairiam – riafferma in modo inequivocabile la validità della legge internazionale riguardo ad un arrembaggio ai danni di imbarcazioni civili che non erano entrate nelle acque internazionali israeliane. Gli esperti dell’Onu ribadiscono nel loro rapporto che il blocco navale di Gaza viola la legalità internazionale ed è «intollerabile e inaccettabile nel 21esimo secolo ». Aggiungono che ci sono «prove evidenti» di comportamenti «brutali» contro gli attivisti internazionali diretti a Gaza con aiuti umanitari e accusano Israele di «omicidio intenzionale» (dei nove turchi), nonché di trattamenti disumani, di gravi sofferenze, di torture e di ferite inferte intenzionalmente.
Il rapporto sottolinea più volte la mancanza di collaborazione di Israele. “Essendo gli autori dei crimini più gravi con il volto coperto – si legge – non possono essere identificati senza la collaborazione delle autorità israeliane”. Pertanto, conclude la commissione d’inchiesta, esistono “prove” sufficienti per un rinvio a giudizio di Israele davanti a un foro appropriato. Una richiesta che non ha molte possibilità di fare molta strada, se si tiene conto della posizione degli Stati Uniti e di diversi paesi europei (Italia in testa), ma che rappresenta per le famiglie dei civili turchi uccisi e per tutti gli attivisti e giornalisti bloccati con la forza delle armi in mare, un importante passo a tutela del diritto internazionale.
La Turchia, che ha chiesto invano le scuse ufficiali di Israele, ha espresso “apprezzamento” per le conclusioni raggiunte dalla commissione istituita dal Consiglio per i Diritti Umani dell’Onu. “Ci aspettavamo un rapporto forte, basato su prove altrettanto forti – ha commentato il ministro degli esteri, Mehmet Davutoglu – e in questo senso il rapporto soddisfa le nostre aspettative”. Riferendosi alla crisi nelle relazioni tra Turchia e Israele, seguita all’uccisione dei nove attivisti sulla Mavi Marmara, Davutoglu ha auspicato che “Israele impari a usare il linguaggio del diritto internazionale e agisca in conformità a esso”. Il ministro degli esteri ha quindi sottolineato che il suo paese non può “rimanere indifferente di fronte all’uccisione di propri cittadini in acque internazionali… un crimine è stato commesso – ha concluso Davutoglu – e Israele deve compiere i passi necessari. Si tratta di un crimine non solo contro la Turchia, ma contro tutta la comunità internazionale”.
Tel Aviv non ha alcuna intenzione di compiere le mosse che vorrebbero la Turchia e coloro che il 31 maggio erano a bordo delle navi della Freedom Flotilla. Il governo israeliano ha seccamente respinto le conclusioni dei tre esperti dell’Onu e ha ribadito la sua posizione, ovvero che i soldati aprirono il fuoco per “legittima difesa” di fronte al comportamento “aggressivo e violento” dei passeggeri. “Il rapporto è di parte e prevenuto, così come l’organo che lo ha prodotto”, ha protestato il ministro degli esteri sottolineando che Israele ha svolto un’inchiesta delle sue forze armate e ha costituito una commissione interna d’indagine, con osservatori stranieri, e accettato di partecipare all’inchiesta (condotta da amici di Israele, come l’ex presidente colombiano Alvaro Uribe), avviata ad agosto dal segretario dell’Onu Ban Ki Moon.
Fonte: ilManifesto
24 settembre 2010