Inte(g)razione, la sfida dei giovani


Sara Castelli, ANOLF-CISL Giovani di 2^ generazione Bergamo


Pubblichiamo la testimonianza di Sara Castelli, studentessa nata in Italia, con nome e cognome italiani, con uno dei due genitori italiano e l’altro perfettamente integrato.


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Inte(g)razione, la sfida dei giovani

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Mi chiamo Sara Castelli, frequento la Facoltà di Giurisprudenza, e in futuro mi piacerebbe specializzarmi in Diritto Internazionale.

Se fosse per ideologia, mi definirei “cittadina del Mondo” e, mi rendo conto che sarebbe bello, ma utopico, se tutti la pensassero così, non di certo per annullare ogni appartenenza etnica, ma perché non esisterebbero più problemi di confini. Come se ci fosse un'unica casa con semplicemente tante identità diverse che la abitano, tutte allo stesso indirizzo, con la stessa cassetta delle lettere, lo stesso giardino ma, senza una recinzione, perché non esisterebbe estraneo da non far entrare.

La grande casa avrebbe molte finestre, perché ognuno possa mantenere il proprio punto di vista, ma allo stesso tempo, poter scostarsi per sbirciare da quella del vicino. Giuridicamente parlando, in realtà, sono di cittadinanza italo-brasiliana: mio padre è italiano e mia madre è brasiliana.
Non c’è nessun viaggio che mi abbia mai portato in Italia: sono sempre stata qui, eppure la sensazione è quella di aver dimenticato da qualche parte qualcosa di me.

Nata in Italia, con nome e cognome italiani, con uno dei due genitori italiano e l'altro perfettamente integrato: la mia è stata un'infanzia "all'italiana" e il fatto che mia madre fosse nata in uno stato diverso non comportava alcuna differenza nel modo di rapportarsi, ma curiosità, forse, tra gli sguardi di chi avevo di fronte, quando capivano che mia madre era brasiliana. Per me era semplicemente come se fosse nata in una città come tutte le altre, semplicemente un po' più lontana. Mi chiedevano se avevo mai visitato il Brasile e, i miei ricordi inerenti a quei viaggi erano di lunghe vacanze, d’incontri con molti parenti di cui la maggior parte non ricordavo i nomi, ma che in ogni caso riservavano un’accoglienza speciale, come se ti conoscessero da una vita: un altro pezzo di famiglia.

Crescendo, non è sempre stato tutto rose e fiori ovviamente: capitavano battute o considerazioni stupide sul fatto che mia madre avesse un nome e un cognome non italiani o, sul fatto che, quando gli amici venissero a casa mia a mangiare, il cibo a volte fosse differente. All'inizio erano un po' scettici di fronte a una pietanza mai vista prima o ad un profumo particolare, ma mia madre è un’ottima cuoca, il che compensava ogni esitazione iniziale e alla fine i piatti venivano ripuliti.

Non ritengo di aver mai subito discriminazioni e, anche se a volte alcuni giudizi potevano infastidirmi, ho sempre guardato avanti, e non ho mai permesso che la cosa mi influenzasse: in fin dei conti, cosa ne sapevano loro? Che differenza avrebbe potuto fare se io avessi mangiato primo secondo e contorno separatamente, o se avessi mischiato il tutto nello stesso piatto?

Io, immigrata “dell'Italia” in quanto nata qui, cresciuta qui, ma con un pezzo di storia da un'altra parte. Qui ho tutto tranne che il passato: l'assenza di un pezzo di radice che rende l'arbusto da un lato barcollante. Rimane in piedi, perché in ogni caso le radici "italiane", sono saldamente ancorate al terreno, ma vi è una parte che soffre d’instabilità, perché privata del giusto nutrimento quali le conoscenze e le esperienze. Nel giorno in cui le raffiche di vento saranno più forti, l’arbusto potrebbe piegarsi. Ecco perché è indispensabile avere una piena conoscenza di sé, per poter rafforzare quel lato di se stessi, e sarà solo allora che, partendo da noi, si potrà iniziare a capire veramente gli altri.

Io ci sto lavorando, ma le distanze non aiutano. Ho vent’anni e, il Brasile è il mio “mezzo-paese d’origine”. Vi ci sono stata solo quattro volte, l’ultima della quale dodici anni fa: un po’ poco per conoscere da dove vieni. Essendo sempre vissuta in Italia, i miei legami con quella terra sono piuttosto labili: questo di certo non giova sulla conoscenza delle mie origini. In casa mia si è sempre parlato solo italiano, e di portoghese ne sapevo ben poco, se non quel che imparavo nei brevi periodi trascorsi in Brasile durante le vacanze.

Solo negli ultimi anni ho approfondito lo studio, grazie alla curiosità e alla voglia di riprendermi una parte di me dimenticata. Complici i legami stretti con persone che parlavano esclusivamente portoghese, appena arrivate in Italia, che avevano bisogno di aiuto per imparare l’italiano, nacque uno scambio: io insegnavo italiano e loro portoghese. Ora ne so un po’ di più, ma non ancora abbastanza. Uno dei miei sogni più grandi sarebbe quello di intraprendere un viaggio per rafforzare la conoscenza della lingua e alla scoperta delle mie origini.

Sono nata a Milano, come mio padre; lui ha trascorso l’infanzia e parte dell’adolescenza in Medio Oriente e in particolare in Libano, insieme a mio nonno, originario di Torino. Ho quasi sempre vissuto in provincia di Bergamo, in un paese di montagna. Inizialmente, però, vivevo vicino a Milano, ma ai miei genitori, che provenivano entrambi da due grosse città, Rio de Janeiro e Milano, il caos non è mai piaciuto. Dopo il trasferimento mio padre ha sempre lavorato nello stesso ambito, quello degli autotrasporti, mentre mia madre, soprattutto in seguito alla nascita mia e di mio fratello, si è occupata attraverso vari canali dell'integrazione, dell'aiuto alle donne straniere, della promozione etnica e culturale, della traduzione, al supporto legislativo in ambito di diritto internazionale.

I miei genitori si sono conosciuti perché entrambi viaggiavano molto, mia madre faceva la guida turistica e accompagnava turisti tra Italia e Brasile, ed è così che ha imparato l’italiano, o meglio, prima ha imparato il romanesco, dato che i turisti che accompagnava erano spesso del Lazio. Mio padre faceva il corriere e si sono incontrati in aeroporto, da lì a poco tempo il trasferimento in Italia.
Ogni tanto mi chiedo, se mio padre non fosse in possesso di quel “pezzo di carta” chiamato cittadinanza, che cosa ne sarebbe stato di me, e riesco a comprendere, se pur in parte, lo stato d’animo di amici che non hanno questo privilegio, costretti a rinnovare continuamente i propri documenti, semplicemente perché c’è un diritto, lo jus soli, che a loro non è riconosciuto, giusto perché qualcuno pensa di avere il diritto di decidere dove una persona debba vivere, indipendentemente dalla sua appartenenza.

Partecipando a conferenze e incontri, dove l’argomento di discussione erano i giovani di seconda generazione, mi si è aperto un mondo che prima scrutavo solo da lontano. Inizialmente, mi sono sentita molto distaccata da questa concezione, e non sentivo “mie” le problematiche affrontate. I giovani di seconda generazione o figli di immigrati, costretti a convivere con il problema dell'integrazione, dei pregiudizi, delle difficoltà nell'imparare la lingua, tutte questioni che non ho mai dovuto affrontare. Io sono nata in Italia, mio padre è italiano, e alla domanda “di che nazionalità sei?” fino a poco tempo fa, non ci avrei pensato due volte, e avrei risposto “italiana!”. Mia madre è brasiliana, vive qui da ventuno’anni, e ormai è apparentemente quasi più italiana che non brasiliana.

Quand'ero piccola, e intorno a me sentivo parlare di “immigrati” non pensavo fosse un concetto che investisse anche la mia famiglia. Nella mia infantilità e nella mia ignoranza credevo che un immigrato fosse fondamentalmente una persona povera, anzi, un “cercatore”, un individuo alla ricerca di qualcosa, magari di un lavoro, o di condizioni di vita migliori. Mia madre quindi non rientrava tra questi. Solo negli ultimi anni mi sono resa conto che le cose non stanno effettivamente così.

Grazie alla scelta di una scuola improntata sulle scienze sociali, ho avuto l'opportunità di trattare il tema tra i banchi di scuola, il che è stato molto utile. Mi ha permesso di capire che effettivamente l'immigrato non è altro che colui che sradica le proprie radici ed abbandona tutto ciò che ha, nel tentativo di ripiantarle in un posto migliore di quello da cui si era partiti. Non è essenziale il motivo, quanto il concetto di cambiamento.

È il cambiamento che muove ogni cosa. Non importa se cambi regione, stato o continente, ciò che regola l'immigrazione è il fatto di tramutare la propria vita in qualcosa che non è adattato alla propria persona, ma esclusivamente alla circostanza.
Sono arrivata a ricredermi, quindi, sulla condizione di mia madre, e di conseguenza anche sulla mia. Ho compreso che anche lei era un'immigrata, nonostante l'unico motivo che l'avesse portata qui fosse stato mio padre.

Penso che il giorno in cui si smetterà di vedere l’immigrazione come un problema da risolvere, potremo affermare di appartenere ad una società integrata, e quindi completa. Oggi faccio parte del Coordinamento Giovani di II Generazione Anolf, un gruppo composto da ragazzi di varie nazionalità, che giorno per giorno, nel loro piccolo, ribadiscono con il loro lavoro, quanto sia importante credere in una reale integrazione verso una società multiculturale dove ci sia rispetto e conoscenza del prossimo.

Quello dell’immigrazione è un mondo vasto, fatto di culture, di origini, di perdite e di nuove acquisizioni, di sacrifici, di difficoltà, ma prima di ogni altra cosa è fatta di donne e di uomini. È un concetto complesso, troppo spesso minimizzato da persone che, non avendolo vissuto sulla propria pelle, non comprendono pienamente ciò che comporta. Io mi auguro che sempre più giovani si interessino, si informino e possano avvicinarsi alla lotta contro il razzismo e la xenofobia, perché forse quel “futuro migliore” potrebbe iniziare già da oggi.

Non ho mai vissuto conflitti identitari, e questo penso che sia dovuto alla mancanza di una parte d’identità che devo ancora trovare. Penso di essere semplicemente le due realtà: l’Italia e il Brasile, due componenti di un unico intero, dove non c’è esigenza di specificare quanto spazio occupi l’uno o l’altro, perché ciò che conta è la sostanza finale, un unico individuo.

Fonte: unasfidapertutti.blogspot.com

31 agosto 2010

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