Cina: tra associazioni patriottiche e diritti religiosi violati
Piergiorgio Cattani - unimondo.org
Le minoranze religiose sono da sempre una spina nel fianco per l’establishment cinese e soprattutto per la “politica dell’armonia”, voluta dal presidente Hu Jintao, e che consiste nel capillare controllo da parte dello Stato.
La Cina popolare ha da sempre avuto un grande fastidio per qualsiasi tipo di minoranza, sia essa etnica, culturale, religiosa. Eppure ogni giorno di più è costretta a fare i conti con questo tipo di problemi che investe sia le regioni più remote dell’ “impero” comunista sia il suo centro, la capitale Pechino e il cuore economico Shangai. Le minoranze religiose sono da sempre una spina nel fianco per l’establishment cinese e soprattutto per la “politica dell’armonia”, voluta dal presidente Hu Jintao, e che consiste nel capillare controllo da parte dello Stato sia della struttura gerarchica o istituzionale di ogni determinato culto sia dei singoli appartenenti ai vari gruppi.
Come da sempre affermano le principali ONG internazionali il diritto alla libertà religiosa in Cina praticamente non esiste. L’Ufficio per gli affari religiosi controlla le varie fedi organizzate attraverso alcune associazioni collaterali al regime: l’Associazione islamica cinese, sorta nel 1953, il Movimento patriottico delle tre autonomie (costituito nel 1954 per controllare le varie confessioni protestanti) e l’Associazione patriottica cattolica, fondata nel 1957, non la più numerosa in quanto a fedeli associati ma sicuramente la più nota a causa dei delicati rapporti e delle controversie con il Vaticano.
Si sa che la Santa Sede non ha mai riconosciuto questa associazione che di fatto ha creato due Chiese parallele: una “di regime” e una “clandestina” fedele a Roma. L’Associazione patriottica (Ap) oggi conta oltre 3 mila segretari, vicesegretari e capo-uffici, più i diversi impiegati locali, che controllano i circa 5 milioni di cattolici ufficiali. L’Associazione, formata più da laici che da religiosi, decide le nomine dei vescovi, “consiglia” loro le nomine dei parroci, sceglie gli insegnanti dei seminari.
In più di cinquant’anni di vita l’Associazione ha nominato numerosi vescovi molti dei quali tecnicamente “scismatici” perché non in comunione con Roma: alcuni di essi hanno raggiunto posizioni preminenti nel partito unico, tanto che il “vescovo patriottico” di Pechino e ultimo presidente dell’Ap Michele Fu Tieshan è stato per anni vicepresidente dell’Assemblea nazionale del popolo, il parlamento cinese. La Chiesa clandestina o “sotterranea” subisce invece persecuzioni: suore e preti sono incarcerati, i fedeli intimoriti, vescovi ridotti al silenzio.
Emblematica è la vicenda di Giacomo Su Zhimin, vescovo di Baoding, sequestrato dalla polizia nel 1997, sparito per sei anni e ricomparso in ospedale nel 2003, che ha passato in prigione più di trent’anni e che ancora oggi è incarcerato pur mantenendo la giurisdizione sulla sua diocesi, ora però “occupata” da un vescovo nominato dal governo. Sono proprio questi episodi a segnare fratture insanabili tra la Cina e il Vaticano con conseguenti e continue violazioni del diritto alla libertà religiosa. Negli ultimi mesi però sono stati nominati sei nuovi vescovi in comunione con la Chiesa cattolica ufficiale ma anche non invisi al regime: notizie parzialmente positive a fronte però della limitazione delle attività di culto dei cattolici sotterranei e soprattutto della fomentata divisione tra cattolici, causa di dissidi, incomprensioni se non di inquietanti delazioni.
In questo contesto, nell’autunno prossimo si dovrebbe celebrare l’ottavo congresso dell’Associazione patriottica per eleggere i nuovi vertici, un evento atteso ma rimandato più volte (nel 2008 per le Olimpiadi, nel 2009 per l’Expo) a causa di dissidi interni legati anche all'organigramma generale del potere cinese. Nel 2012 ci dovrebbe essere l'anticipato pensionamento del presidente Hu e l'associazione patriottica potrebbe anticipare questo cambio della guardia con la nomina ai suoi vertici di Ma Yinglin, un vescovo di regime completamente inviso a Roma.
Le altre minoranze religiose, su cui non si accendono spesso i riflettori, subiscono una più violenta repressione. Come è avvenuto l’estate scorsa, in particolare il 5 luglio 2009, nelle zone desertiche dello Xinjiang al confine con le repubbliche ex-sovietiche dell’Asia centrale. Quel territorio, esteso per più di un milione e mezzo di kilometri quadrati, è per meta popolato dagli Uiguri (un’etnia turcofona di religione islamica, le cui rivendicazioni di tipo nazionale sono superiori a quelle a sfondo religioso) e per un altra meta da cinesi di etnia Han, la più diffusa nel paese.
L'anno scorso violenti scontri hanno insanguinato le strade della capitale Urumqi con diverse decine di morti (le fonti cinesi parlano di 197 vittime ma altre notizie indicano in 600 il numero delle persone uccise la maggior parte delle quali di etnia uigura. Da sempre la regione che non si sente parte integrante della Cina e che vorrebbe l’indipendenza oppure l’unione con il vicino Turkmenistan, è stata scenario di scontri e lotte, come è stato e continua ad essere per il Tibet. Un anno dopo la situazione nella regione è ancora molto tesa.
Ma se si parla di diritti religiosi violati in Cina non si può non fare un accenno al Falun Gong, il movimento spirituale fondato nel 1992, che sembra contare su quasi 100 milioni di simpatizzanti. Il 25 aprile del 1999 oltre 10 mila adepti del movimento manifestarono pacificamente a Pechino contro la violazione dei loro diritti: da quella data, soprattutto per volontà dell'allora presidente Jiang Zemin la più feroce persecuzione dai tempi della Rivoluzione Culturale. Il Falun Gong, bollato come "culto malvagio" e "minaccia per la stabilità sociale e politica", subisce una campagna di repressione continua e terrificante con torture, omicidi, minacce, sparizioni. Un'altra pagina nera che non può essere dimenticata.
Fonte: unimondo.it
9 Agosto 2010