Il futuro di Gerusalemme e la pace tra arabi e israeliani
Lucio Caracciolo
Gerusalemme è uno dei nodi più difficili da sciogliere fra Israele e palestinesi e arabi. Quale sarà il destino della città?
Perché non si riesce a far la pace fra arabi e israeliani? Per un milione di ragioni, ma soprattutto per una: Gerusalemme. Ci si può accordare – forse – sullo statuto dei Territori occupati, sulla questione dei rifugiati, sull´acqua e sulle eventuali garanzie internazionali. Ma quando si tocca il filo che porta a Gerusalemme, ogni negoziato muore. Lo scoprì suo malgrado Bill Clinton a Camp David, nel luglio 2000.
Dieci anni dopo, le distanze fra le parti sono cresciute su tutto, meno che sulla "città santa". Non perché si siano accorciate, ma perché erano e restano incommensurabili, come quelle che dividono una Verità assoluta da un´altra Verità assoluta. Perché lì, nel Bacino Sacro, si confrontano le incomponibili Verità delle grandi religioni monoteiste. Ogni terra è negoziabile, meno quella santa.
Gerusalemme simboleggia la dimensione profonda del conflitto arabo-israeliano. Sempre meno nazionale e sempre più religiosa. La partita vera è fra islamismo ed ebraismo, e fra i vari islamismi ed ebraismi spesso in contrasto fra loro. Siamo in Terrasanta. Lo stesso contenzioso, con gli stessi attori, spostato in qualsiasi altra parte del mondo, sarebbe stato probabilmente risolto. Ma dove ogni sasso racconta la mia Verità e nega quella altrui, la pace resta un miraggio.
Persino gli scavi archeologici assumono una dimensione geopolitica, a Gerusalemme e dintorni. A sponsorizzarli, gruppi politico-religiosi interessati ad affermare la propria versione sui "diritti storici" di una nazione e/o religione. Una fast archeology che ha poco di scientifico e molto di geopolitico. L´interesse maggiore è riservato alla cosiddetta Città di David, dove intransigenza religiosa e manipolazione geopolitica sono tutt´uno.
Da parte israeliana, l´obiettivo di fondo è di rendere di fatto impossibile la spartizione della città, così come prefigurava la formula di Clinton: "Ciò che è arabo ai palestinesi, ciò che è ebraico agli israeliani". Per questo è importante sottrarre quanto più spazio possibile ai quartieri arabi, insediandovi enclave ebraiche, da collegare fra loro. A confermare e rafforzare il peso dei coloni nella società e nell´establishment politico d´Israele.
Benjamin Netanyahu ha ripetutamente informato gli americani di non accettare alcun limite all´espansione degli insediamenti israeliani nell´area di Gerusalemme, capitale "unica, eterna e indivisibile" dello Stato ebraico. Si tratta infatti di creare una "collana di perle" fra le diverse zone gestite dai coloni e svuotare così di ogni senso il progetto di uno Stato palestinese.
I palestinesi sono talmente deboli e divisi, impegnati nelle loro faide e guerre tra feudatari e capiclan locali, da non potersi opporre all´espansione israeliana a Gerusalemme e in buona parte della Cisgiordania. Sicché la rivendicazione di Gerusalemme Est come capitale dell´improbabile Palestina è sempre più astratta. Ma ogni decisione strategica su Gerusalemme – e soprattutto ogni eventuale compromesso – non spetta a capi e capetti palestinesi, né solo ai leader arabi, ma all´insieme della comunità islamica e ai suoi esponenti religiosi e politici più in vista. Compresa la Turchia neo-ottomana di Erdogan, il nuovo "eroe di Gaza".
Fonte: Cipmo.org, la Repubblica
13 luglio 2010