Strage a Mosca, torna il terrore nel metro
Lucia Sgueglia
Linea rossa, allarme rosso. E Mosca si sveglia all’alba di nuovo nella paura. Si consuma nello spazio di tre quarti d’ora, la tragedia che riporta la capitale russa indietro di sei anni, nell’incubo terrorismo che credeva seppellito.
Linea rossa, allarme rosso. E Mosca si sveglia all’alba di nuovo nella paura. Si consuma nello spazio di tre quarti d’ora, la tragedia che riporta la capitale russa indietro di sei anni, nell’incubo terrorismo che credeva seppellito. Sulla linea di metropolitana 1, la prima inaugurata dai sovietici, intitolata a Lenin. Ogni giorno nelle viscere della città viaggiano 9 milioni di passeggeri. Cinquecentomila alle 7,57 di ieri (ora locale), quando la prima esplosione squarcia la stazione Lubianka, in pieno centro, a due passi dal Cremlino. Quaranta minuti dopo tocca a Park Kulturi, ancora linea rossa. Almeno 38 vittime, da 60 a 100 feriti, alcuni gravi. Due luoghi nevralgici del traffico cittadino all’ora di punta, ma soprattutto due luoghi simbolo del potere russo. A Park Kultury c’è il ministero degli Interni della Federazione. Alla Lubianka, la sede storica dei servizi segreti russi, l’ex Kgb, culla di Vladimir Putin. Uno schiaffo in faccia al potere dei suoi 007, oggi forte come mai in Russia. Il panico si scatena proprio qui. Ma l’obiettivo è mantenere la calma. Il traffico non viene interrotto sulla piazza, aperte le stazioni del metro vicine. Un elicottero plana sotto le finestre degli 007, decine di uomini della protezione civile arrivano per i soccorsi, piazzano una grande tenda militare all’imbocco del sottopassaggio che dalla fermata conduce al centro della piazza: c’è ancora gente lì sotto? Portati via subito i feriti, ma una donna si slancia verso l’ingresso del metro: «Dov’è mia figlia?» Ambulanze, sirene, polizia, pompieri e agenti antisommossa, decine e decine. Le autorità insolitamente si concedono ai giornalisti, piccoli briefing di aggiornamento. Ma lo sguardo degli 007, il bersaglio ormai chiaro dei due attentati, incombe dall’alto. Tra i passanti c’è chi piange, ma niente folle di curiosi a far foto col cellulare: è la Russia. L’edicolante sulla piazza ha paura di prendere il metro, c’è chi maledice i «ceceni» e chi come Natalia, 60 anni, da Pietroburgo turista con la nipote al braccio, si chiede se il potere non abbia colpe: «Credo che qualcosa nella nostra politica non vada per niente bene. Ci sono attentati da 10 anni, nel Caucaso si spara ancora, probabilmente qualcosa non è risolto». In giornata si precisano i dettagli. Due donne kamikaze, una avrebbe meno di 20 anni, capelli neri, con loro forse due complici, due donne di aspetto «slavo» e un uomo, di lui esiste già un identikit. Mandanti? Lo sguardo è rivolto tutto al Caucaso, la pista del terrorismo ribelle, non più indipendentista ma sempre più insofferente al potere centrale. Il premier Putin lo addita feroce: «Li annienteremo tutti». Quello schiaffo è soprattutto per lui, l’ex 007 piu noto del paese, tornato di corsa dalla Siberia, alfiere della «normalizzazione» in Caucaso a mezzo repressione. Prova a distaccarsene Dmitri Medvedev, il presidente che ieri ha posato fiori sul luogo delle esplosioni come decine di moscoviti: «Sono semplicemente bestie, e ciò che fanno è un delitto secondo qualsiasi legge e morale. Non ho dubbi che li troveremo e uccideremo», ma aggiunge un appello al rispetto dei diritti dei cittadini nella «caccia al terrorista». Qualcosa che da Putin non sentiremo mai.
Fonte: Lettera22, Messaggero e Mattino di Napoli
30 marzo 2010