Gerusalemme, incidenti alla Spianata delle Moschee
L'Unità
Resta alta la tensione nella Spianata delle Moschee di Gerusalemme, alcuni dimostranti palestinesi sono stati attaccati dall’esercito israeliano. A seguire il dossier “Israele occupa i luoghi sacri in Palestina” di U. De Giovannangeli.
Resta alta la tensione nella Spianata delle Moschee di Gerusalemme dopo che fra dimostranti palestinesi e un reparto della polizia israeliana si sono verificati oggi incidenti in cui una dozzina di palestinesi sono rimasti intossicati da gas lacrimogeni e un agente è stato ferito da sassate. Ad alimentare la tensione era giunta nei giorni scorsi la decisione del governo di Benyamin Netanyahu di includere fra i luoghi da tutelare per il loro significato al popolo ebraico anche due santuari in Cisgiordania: la Tomba dei Patriarchi di Hebron e la Tomba di Rachele a Betlemme.
Si tratta di Luoghi Santi sia per gli ebrei sia per i musulmani. In seguito il Movimento islamico in Israele aveva avvertito che oggi, in occasione del Purim (carnevale ebraico) «coloni ebrei» avrebbero cercato di fare ingresso nella Spianata delle Moschee. Quando stamane dunque una comitiva di turisti (ebrei e non) è entrata nella Spianata, ha avuto iniziato una fitta sassaiola. Secondo la polizia israeliana, nella nottata alcune decine di giovani palestinesi si erano nascosti nella moschea al-Aqsa allo scopo di contrastare l'ingresso di ebrei nella Spianata. Nella tarda mattinata una calma precaria è stata ristabilita nella zona, mentre nella Spianata sono riprese le visite dei turisti. Incidenti di carattere circoscritto sono avvenuti anche in alcuni vicoli della Città Vecchia e nel rione palestinese di Ras el-Amud, a Gerusalemme est. Tensione – ma finora nessun incidente – anche a Hebron dove, malgrado gli scontri fra esercito e palestinesi dei giorni scorsi, centinaia di coloni ebrei organizzano oggi un corteo carnevalesco.
Fonte: L'Unità
28 febbraio 2010
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Dopo la terra Israele occupa i luoghi sacri di Palestina – Il dossier
di Umberto De Giovannangeli
Questa è una triste storia. Una storia dove passato e presente s'intrecciano indissolubilmente, in cui ogni corda identitaria viene toccata e tesa all'estremo. Una storia nella quale politica e religione si fondono dando vita a una miscela esplosiva. Una storia che fa riemergere quella bramosia di possesso assoluto in nome della quale si è combattuto e sparso sangue in Terrasanta. «Dopo la terra ora vogliono toglierci anche i luoghi della memoria. Dopo l'annientamento politico, i falchi israeliani hanno deciso di espropriarci anche di qualcosa ancor più importante della terra: la memoria storica di ciò che è stato, di ciò che è la Palestina», dice a l'Unità Sari Nusseibeh, rettore dell'Università Al Quds di Gerusalemme Est, il più autorevole intellettuale palestinese. A scatenare l'ira dei palestinesi è stata la decisione del governo di Benyamin Netanyahu di includere fra i luoghi della «memoria storica» del popolo ebraico che vanno preservati anche la Tomba di Rachele a Betlemme e la Tomba dei Patriarchi a Hebron. Luoghi santi che si trovano in zone autonome palestinesi e sono venerati sia da fedeli ebrei sia da fedeli islamici. La decisione israeliana «è una provocazione per i musulmani di tutto il mondo e soprattutto per i palestinesi», denuncia il capo dei negoziatori dell'Anp, Saeb Erekat. «Siamo di fronte ad una ulteriore, gravissima escalation politica unilaterale, dei fatti compiuti, messa in pratica dai governi israeliani succedutisi negli ultimi quindici anni», gli fa eco Hanan Ashrawi, più volta ministra dell'Anp oggi paladina dei diritti umani nei Territori. «Il dialogo, per avere senso – ci dice Ashrawi – deve partire dal riconoscimento non solo delle ragioni dell'altro, ma ancor prima, riconoscerne l'esistenza in quanto nazione, con una sua storia, una sua identità culturale. Una sua memoria». «Ora – aggiunge Ahrawi, prima donna portavoce della Lega Araba – come si può pensare ad una pace fondata su due Stati se Israele rifiuta anche di condividere luoghi sacri a ambedue i popoli?». Una considerazione che ci conduce al cuore di questa sottrazione in divenire. Ci porta a Hebron, alla grotta di Makpelah, dove la tradizione vuole siano inumati Abramo, Isacco, Giacobbe con le loro mogli. È la Tomba dei Patriarchi, luogo di culto sia per i musulmani che per gli ebrei. Luogo conteso, che venerdì 25 febbraio 1994 si trasformò in un campo di battaglia. Quella mattina, giorno di Purim per gli ebrei, ultimo venerdì di Ramadan per i musulmani, un colono di Kiryat Arba, il grande insediamento presso Hebron, roccaforte della destra ultranazionalista ebraica, superati controlli militari israeliani all'ingresso della Moschea di Abramo, dove sorge anche la sinagoga che gli ebrei chiamano Makpelah, si avvia verso una delle sale – la sala Isacco – dell'edificio. Baruch Goldstein, medico piuttosto noto tra i coloni, nasconde un fucile mitragliatore M16 in una borsa sportiva blu. Indossa la divisa da riservista. Senza pronunciar parola, spara diversi caricatori sui musulmani in preghiera, uccidendone trenta e ferendone decine prima di essere a sua volta linciato dai sopravvissuti. Negli incidenti che seguirono altri 20 palestinesi saranno uccisi dall'esercito israeliano. Da quel giorno tragico, la tomba di Goldstein, a Kiryat Arba, è meta di continui pellegrinaggi dei militanti dell'estrema destra – moltissimi i giovani – che considerano «Baruch, eroe di Erez Israel». Tra i gli organizzatori delle visite alla tomba di «Goldstein, re d'Israele» c'era pure Yigal Amir, l'assassino di Yitzhak Rabin. «Israele non ha il solo il diritto ma anche il dovere di preservare i luoghi della memoria del popolo ebraico. E Makpelah è parte inalienabile di essi. A sancirlo è la Torah, guai a dimenticarlo…», dice a l'Unità David Wilder, leader degli ultraortodossi israeliani, in maggioranza originari degli Stati Uniti, che vivono – 500, circondati da 170mila palestinesi – in una enclave trasformata in fortino nel cuore di Hebron. La tensione è tornata altissima. Un portavoce della Jihad islamica ha detto al sito web del quotidiano Yediot Ahronot che la iniziativa di Netanyahu è un tentativo israeliano di «annettere» luoghi islamici di preghiera, e dunque un atto «aggressivo» che provocherà la ripresa degli attacchi armati. In una Terrasanta che si «nutre» di simboli, è altamente simbolico anche il fatto che l'annuncio del governo israeliano di un piano nazionale per «riabilitare» circa 140 siti storico-religiosi dell’ebraismo, è stato dato dopo un Consiglio dei ministri straordinario, tenutosi a Tal Hai, nel nord di Israele, luogo in cui nel 1920 ebrei e arabi combatterono. «L’annessione della Tomba dei Patriarchi – incalza l’ex ministro Mustafa Barghouti – e di quella di Rachele a Betlemme, non è altro che una dichiarazione da parte di Israele del fatto che imporrà azioni concrete: annettendo terre e impedendo la pace». Preoccupazione condivisa dall'emissario Onu per il processo di pace israelo-palestinese, Robert Serry, che definisce allarmanti le rivendicazioni israeliane sul «territorio palestinese occupato». Per realizzare questa «sottrazione di memoria» è funzionale anche la Barriera di sicurezza (il muro dell'apartheid per i palestinesi) in Cisgiordania. Nel settembre 2002, le autorità israeliane approvarono l'inclusione della Tomba di Rachele (la seconda moglie di Giacobbe), alle porte di Betlemme, all'interno dei confini del Muro. Da allora il progetto è marciato spedito. Quella barriera impedisce ai palestinesi di Betlemme di recarsi a pregare alla Tomba di Rachele. Il piano rientra a pieno titolo nel disegno della «Grande Gerusalemme» ebraica coltivato dalla destra oggi al governo in Israele. La Barriera-Muro spezza in mille frammenti la Cisgiordania e crea dei ghetti. Uno di essi, il ghetto-sud, una volta portato a compimento, comprenderebbe Betlemme e Hebron, e i loro luoghi sacri. La Tomba dei Patriarchi, la Spianata delle Moschee, la Tomba di Rachele… Ciò che un intero popolo, quello palestinese, vive è una doppia confisca: quella della terra, e quella, non meno dolorosa, dei luoghi di identità. Legami che uniscono, è il titolo di prima pagina del Jerusalem Post che parla dell'inserimento della Tomba dei Patriarchi a Hebron e della Tomba di Rachele a Betlemme nella lista dei 150 siti dell'identità nazionale israeliana. Ma ciò che unisce Israele spezza i palestinesi, espropriandoli del passato e del futuro. «Vi chiediamo di impedire ad Israele di attuare il suo brutale, espansionistico progetto di annettere la zona della Tomba di Rachele e le terre circostanti e di chiudere l’entrata principale della nostra città che collega Betlemme con Gerusalemme, impedendo il flusso dei pellegrini e dei turisti in Betlemme». Era l'appello disperato rivolto dai palestinesi di Betlemme al mondo libero. Un appello rimasto senza risposta. udegiovannangeli@unita.it
25 febbraio 2010
pubblicato nell'edizione Nazionale (pagina 26) nella sezione "Esteri"