Da Kabul a Forlì, passando da Piazza Duomo
Piero Piraccini
Sono trascorsi appena due mesi da quando sei soldati italiani sono stato uccisi a Kabul. E’ trascorso appena un mese da quando una persona, la mente ammalata, ha colpito al viso Berlusconi. Buon anno, comunque…
“A volte le guerre sono necessarie per arrivare alla pace”. Così Obama, al ritiro del Nobel per la Pace. Ghandi soleva dire che seme e frutto non possono essere diversi. Chi lo ricorda più. Premio frettoloso? Certo era stato previdente, invece, il presidente Eisenhower, già comandante americano nella 2° guerra mondiale, quando aveva affermato: “Dobbiamo vigilare contro la conquista di un’influenza ingiustificata da parte del complesso militare-industriale. La possibilità di una disastrosa crescita di un potere mal riposto esiste ed esisterà a lungo. La sua influenza totale – economica, politica, perfino spirituale – è sentita in ogni città, in ogni amministrazione locale, in ogni ufficio del governo federale”.
Chissà quanto ha contato questa “influenza”, sulla decisione di Obama di inviare in Afghanistan altri 30000 soldati a vincere una guerra che, sempre più, assume i disastrosi connotati del Vietnam. In una città, Kabul, dove ogni militare è visto come un invasore e, pertanto, da temere e da respingere.
Alla quale guerra l’Italia partecipa da otto anni senza che uno solo dei problemi proposti sia stato risolto. (Fatta salva la produzione di armi: quel problema sicuramente ha conseguito indubbi risultati, in Italia e nelle altre nazioni facenti parte della coalizione belligerante). Con atroci risultati, invece, in termini di uomini, donne, vecchi, bambini coinvolti. Afghani e non, essendo, per un elementare senso di giustizia, non l’etnia ma il grado di colpa a far la differenza. E quale colpa può mai avere chi non ha deciso guerra alcuna ad alcuno?
Sono trascorsi appena due mesi da quando sei soldati italiani sono stato uccisi a Kabul.
Il Consiglio comunale di Forlì, dato il legame coi militari di stanza in città, ha espresso il suo cordoglio. Cosa usuale quando simili episodi avvengono laddove l’Italia è in prima linea ed il Parlamento unito (salvo l’ultima Italia dei Valori) a rifinanziare le spese di guerra.
Il Sindaco, interprete della volontà unanime del Consiglio, ha affermato che “noi possiamo pensare, com’è usanza nella nostra Città, a un ricordo che rifletta sulle vittime dei caduti nelle missioni di pace, sulla pubblica torre che è una specie di nuovo luogo della memoria”.
Nulla, invece, perché non abbiano più a ripetersi fatti come questi, che colpiscono militari italiani e non, così come la popolazione afghana.
Nessuna richiesta al Parlamento perché operi un bilancio serio e rigoroso degli anni di guerra che ci stanno alle spalle e del disastro che hanno provocato; perché ricerchi soluzioni di aiuto agli afgani per uscire da questa trappola mortale; perché la RAI, servizio pubblico (?), organizzi un dibattito, almeno uno, che aiuti gli italiani a capire cosa è accaduto, cosa sta succedendo e cosa fare per evitare ulteriori inutili pianti familiari e collettivi.
Invece, alla fine, tutti in piedi, a cantare l’inno nazionale. Proprio così. Scontata la retorica della prima parte del dibattito (è fatica far meglio, vista la strada intrapresa). Inusuale, a dir poco, la sua conclusione.
E’ trascorso appena un mese da quando una persona, la mente ammalata, ha colpito al viso Berlusconi. Quella maschera insanguinata è stata trasmessa infinite volte. Infinite volte sono state riproposte le parole “senza se e senza ma” ed “odio”. Per stigmatizzare la perentorietà senza subordinate dell’affermazione di condanna dell’atto. Per indicare il clima in cui è avvenuto. Ma se il clima ha sostenuto l’atto, di quel clima il premier da anni è unico responsabile per quanto RAI, servizio di regime, e giornalisti proni cerchino di assolverlo. Né lo assolvono le parole rivolte al Papa sui valori cristiani del suo governo, quello che ha respinto procurandone spesso la morte, migliaia di immigrati. (Ma, forse, ancor più sconcertante è averle accolte quelle parole).
Supponiamo che lo stesso perentorio riguardo – la commozione istituzionale verso i militari uccisi, la commozione politica/civile e il riguardo mediatico verso il premier – sia rivolto ai lavoratori che quattro ogni giorno muoiono di lavoro in ambienti (il clima) malsani. E che lo stesso riguardo, magari, sia rivolto a quelli che muoiono in carcere da suicidi o da suicidati. E che noi ogni giorno vedessimo i volti stravolti di quei poveri cristi, i loro nomi, le parole dei loro familiari Ne uscirebbe una ben altra Italia in cui la parola pietà ritrova il suo significato, i fatti la loro portata, la politica una ragione per praticarla, la sinistra un cenno di esistenza. Buon anno, comunque.
Editoriale di Piero Piraccini