Israele, svolta Fatah riapre dibattito su Barghouti
Alessandro Logroscino - Ansa
Il ministro dei Trasporti israeliano: "Liberare immediatamente Barghuti e sedersi con lui al tavolo dei negoziati, perché non c’é nessun altro, a parte lui, capace di prendere decisioni difficili".
Galeotto destinato al carcere a vita o interlocutore necessario di un accordo di pace di là da venire? Il rinnovo dei ranghi di Al-Fatah, partito storico della causa palestinese, e l'elezione trionfale al Comitato centrale di Marwan Barghuti – simbolo della seconda intifada detenuto in una prigione israeliana dal 2002 – ha riaperto il dibattito in Israele sulla prospettiva di una possibile, clamorosa scarcerazione. Un dibattito che lacera il governo di Gerusalemme, ma anche le file dell'opposizione. Pur rimanendo apparentemente confinato, per ora, all'accademia del talk show politico.
A riproporre una questione in realtà non inedita è stato Benyamin Ben Eliezer, ministro dei Trasporti ed esponente dell'appendice laburista in seno al gabinetto a maggioranza di destra del premier Benyamin Netanyahu: un ex generale veterano delle stanze del potere. Secondo Ben Eliezer, i risultati del congresso di Fatah a Betlemme – certificati oggi con la conferma d'un nuovo Comitato centrale in cui il presidente moderato dell'Autorità nazionale palestinese, Abu Mazen (Mahmud Abbas), sarà affiancato da un leva emergente di cinquantenni all'interno della quale Barghuti resta la figura più popolare – devono suggerire una riflessione. Anzi una decisione: "Liberare immediatamente Barghuti e sedersi con lui al tavolo dei negoziati, perché non c'é nessun altro, a parte lui, capace di prendere decisioni difficili". Intervistato dalla radio pubblica, il ministro dei Trasporti non è entrato nel merito delle accuse che sono valse a Barghuti condanne a cinque ergastoli in Israele: accuse che lo vogliono ispiratore di attentati costati la vita a numerosi civili nella stagione della cosiddetta 'seconda intifada' e che egli peraltro nega. Ne ha fatto piuttosto un discorso di realismo politco.
"La pace – ha detto – non la si fa con le anime belle, ma con dirigenti capaci d'imporre la loro autorità su tutte le fazioni". Una caratteristica rispetto alla quale Marwan Barghuti meriterebbe almeno di essere messo alla prova, ha lasciato intendere Ben Eliezer. Opinione condivisa apertamente da Avishai Braverman, suo collega di governo e di partito, non da altri. Nello staff del primo ministro, fonti anonime si sono limitate a precisare che al momento un rilascio di Barghuti "non è in esame". Decisamente irritate appaiono inoltre le prime reazioni pubbliche di esponenti del partito di Netanyahu (Likud, destra), secondo il cui mantra l'esito del congresso di Fatah non ha cambiato nulla. E se con Abu Mazen non si può fare un accordo vero perché "troppo debole", con Barghuti e i cinquantenni non lo si potrebbe fare perché inaffidabili. "La scarcerazione di un assassino non ci porterà alla pace", ha tagliato corto al riguardo una figura vicina al premier come Limor Livnat, ministra della Cultura. Scetticismo non dissimile del resto da quello di Tzipi Livni, leader dell'opposizione centrista di Kadima. Molto dura in questi mesi sulle esitazioni di Netanyahu rispetto al processo di pace e ai rapporti con l'amministrazione Usa di Barack Obama, Livni su Barghuti resta a sua volta fredda: l'elezione di Betlemme – ha commentato – non è di per sé "ragione sufficiente per ridargli la libertà".
Fonte: cipmo.org
12 Agosto 2009