A Teheran il processo farsa ai dimostranti


Viviana Mazza


Le accuse: vandalismo, legami con gruppi armati, attentato alla sicurezza nazionale. Sul banco degli imputati oltre cento persone, fra di loro l’ex vicepresidente. Rischiano la pena di morte.


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A Teheran il processo farsa ai dimostranti

Uniformi grigie, qualcuno con il capo chino, la maggior parte con lo sguardo fisso avanti, un centinaio di iraniani sono apparsi in tribunale a Teheran. E’ iniziato ieri il primo processo per le proteste seguite alle elezioni del 12 giugno. E’ nota l’identità di una decina di loro: ex vicepresidenti, ex ministri, giornalisti. Le accuse: atti di vandalismo, legami con gruppi armati dell’opposizione, attentato alla sicurezza nazionale. Rischiano la pena di morte.

Dalle sedie color rosso porpora nell’aula affollata, gli imputati hanno ascoltato la lettura delle accuse da un documento di 15 pagine, secondo il quale i tre principali partiti riformisti avrebbero usato le elezioni per attuare una «rivoluzione di vel­luto » contro il regime (come quella del 1989 in Cecoslovac chia) come previsto da un pia no organizzato da oltre un an no con fondi ricevuti da orga nizzazioni non governative estere. Secondo l’agenzia di Sta to Fars , alcuni imputati hanno confessato in aula che la vitto ria di Ahmadinejad è stata rego lare, smentendo accuse di bro gli da loro stessi rivolte e ripetu te da milioni di iraniani in piaz za. La prima seduta (non è nota la durata del processo) si è svol ta a porte chiuse, senza avvoca ti difensori, in una Corte rivolu zionaria retta da religiosi. Saleh Nikbakht, avvocato di diversi degli imputati, l’ha saputo dalla tv. E’ corso in tribunale, non l’hanno fatto entrare. Mai la Re pubblica Islamica aveva proces sato politici di così alto livello. Un tentativo di chiudere i conti con l’opposizione e di intimidi re la società civile a pochi gior ni dalla conferma del presiden te Ahmadinejad, dicono gli esperti.

L’abiura esemplare è quella del 52enne Mohammad Ali Abtahi, religioso ed ex vicepre­sidente del riformista Khatami dal 1997 al 2005, ora braccio de stro di Karroubi. Detenuto dal 16 giugno, secondo la moglie ha perso 18 chili. Sul capo man cava il turbante nero che lo qua lifica come seyyed, discendente di Maometto. «Ho sbagliato a partecipare alle proteste», ha detto. «Quella delle frodi è una menzogna usata per provocare disordini in modo che l’Iran di venti come l’Afghanistan e l’Iraq». «Confessione» confer mata dall’ex vicepresidente Mohsen Safai-Farahani, dagli ex ministri riformisti Mustafa Tajzadeh e Behzad Nabavi. «Gli eventi post-elettorali erano sta ti pianificati dagli americani da un anno», avrebbe ammesso il sociologo irano-americano Kian Tajbakhsh. Tra gli imputa ti: i giornalisti Mohammed Atrianfar e Maziar Bahari e il leader del maggiore partito ri­formista Mohsen Mirdamadi.

Osservatori e attivisti consi derano il processo una farsa. Il leader dell’opposizione Mousa vi ha smentito i legami con gli stranieri. «Riformisti come Abtahi sono fedeli al cambia mento nel profondo del loro es sere », dice al Corriere Azadeh Moaveni , che è stata inviata di Time in Iran e ha scritto Lipsti ck Jihad e Viaggio di Nozze a Teheran (Newton Compton, in uscita il 6 agosto in Italia). Defi nisce il processo «una messa in scena con confessioni in stile sovietico» e ricorda il coraggio sempre mostrato da Abtahi: opi nionista e blogger oltre che poli tico, rivelò per primo che la giornalista Zahra Kazemi era stata assassinata in prigione nel ’96 e che il regime ha protet to fuggitivi di Al Qaeda. Quan do nel 2001 Khatami ammise che gli ultraconservatori aveva no reso impossibili le riforme sperate, la scrittrice ricorda gli occhi lucidi di Abtahi. Ieri ha ac cusato Khatami di tradimento per aver appoggiato il cambia mento. «Questa 'confessione' — dice Moaveni — è una scom messa cosciente e calcolata per uscire dal carcere e tornare dal la famiglia».


Fonte: Corriere.it

02 agosto 2009

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