Non servirci dei poveri


Padre Renato Kizito Sesana


"Accettare le ingiustizie che creano la povertà, sfruttare i poveri, servirsi dei poveri per la propria gloria sono aspetti diversi di uno stesso male. E purtroppo la tentazione di servirsi dei poveri per i propri interessi e sempre presente, anche fra coloro che professano di servirli".


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Non servirci dei poveri

Don Milani, lo cito a memoria, diceva che dobbiamo a servire i poveri, ma stare bene attenti a non servirci di loro. Ho letto che Clodovis Boff, fratello del più conosciuto Leonardo, sta preparando un testo intitolato “Con Cristo e con i poveri, contro coloro che strumentalizzano la povertà”. Con la sua seria riflessione teologica, che spero di leggere presto, potrà magari aiutarci ad approfondire questo tema affascinante, e di continua attualità nella chiesa, e non solo.
Me lo ha ricordato un confratello, che mi ha scritto una lettera dura, perché pensava che fossi io il responsabile di una iniziativa che coinvolge alcune persone degli slums di Nairobi e che lui giudica come sfruttamento della povertà. Io non ho niente a che fare con quell’ iniziativa, ma sarei più cauto prima di dare giudizi assolutamente negativi e moralmente inappellabili.
Accettare le ingiustizie che creano la povertà, sfruttare i poveri, servirsi dei poveri per la propria gloria sono aspetti diversi di uno stesso male. E purtroppo la tentazione di servirsi dei poveri per i propri interessi e sempre presente, anche fra coloro che professano di servirli. Lo vediamo con evidenza nelle gigantesche macchine internazionali per combattere la fame e la povertà, in certe ONG, ma anche nella chiesa.
Tutti conosciamo certi campioni dei poveri… e magari abbiamo dei sospetti. Ma non abbiamo nessun diritto di giudicare le motivazioni degli altri. Io per esempio ricordo con affetto un personaggio che era molto famoso quando ero ragazzo, Raoul Follereaux, conosciuto in tutto il mondo per la sua campagna a favore dei malati di lebbra. Mi mi dava un po fastidio quel suo presentarsi sempre con il bastone e il cravattino a farfalla, e altri suoi atteggiamenti quasi da palcoscenico. Poi ho avuto l’ occasione di incontrarlo perché a tradurre i suoi libri in italiano era padre Gianni Corti, il comboniano di Lecco che mi aveva fatto conoscere i comboniani, e i suoi libri erano pubblicati in Italia dalla nostra casa editrice. Imparai ad apprezzarlo ma non mi aveva ancora convinto del tutto. L’ ultima volta che lo incontrai, un paio d’anni prima che morisse, forse indovinando il mio pensiero, mi disse confidenzialmente, alla presenza della sua dolcissima inseparabile moglie “vedi, ormai devo fare il personaggio, la bandiera. Non posso fare più altro per i lebbrosi. Mi fa male, ma se essere usato cosi serve alla loro cause, cosi sia”. Raramente ho sentito qualcuno parlare con più sincerità e umiltà. E capii tutta la grandezza di quell’ uomo che si era logorato nel servizio a cui si era sentito chiamato.
Certo dobbiamo sempre confrontare le nostre azioni col Vangelo, col buon senso, e, parlando di sociale, con gli strumenti di analisi che le scienze ci offrono. Ma chi si mette in una posizione ideologica da “puro” rischia di diventare cieco tanto quanto coloro che sono accecati dall’ egoismo, e di fare più errori degli altri.
Meglio non giudicare le intenzioni, e attendere di vedere i frutti – che possono essere solo persone e non cose – perché le motivazioni degli altri, specialmente quando si tratta di motivazioni che segnano una vita in modo profondo, sono sempre un mistero e, anche nel migliore dei casi, un insieme di slanci ideali ma senza mai escludere che possano essere presenti piccolezze, perfino di meschinità. E’ nella nostra natura umana. Ancora più pericolosamente, il nostro giudizio sugli altri rivela il nostro più intimo modo di pensare. Cosi chi ha accusato Madre Teresa di Calcutta di essersi servita dei poveri per costruire la sua immagine di santa, ha fatto certo più danno alla sua reputazione che a quella di Madre Teresa.
Nella nostre decisioni c’e’ sempre una dimensione di egoismo, e il tenerlo sotto controllo e’ un problema che si ripresenta sempre.
A volte, quando mi devo alzare al mattino molto presto per finire un lavoro, per scrivere un articolo, e magari il giorno precedente ho avuto gravi delusioni e problemi, devo fare uno sforzo cosciente e pensare ai bambini/e e ragazzi/e insieme ai quali sono impegnato a migliorare la loro vita e la mia per poter incominciare il giorno con entusiasmo. E allora magari mi sento con la coscienza a posto, mi convinco che sto facendo un servizio. Altre volte, quando va tutto bene, quando sono in giro coi bambini che riscuotono simpatia e affetto e arrivano aiuti per fare un progetto, costruire un’ altra casa, devo continuamente per non pensare che in qualche modo tutto questo sia il risultato del mio lavoro, invece che un lavoro collettivo. E’ sempre difficile giudicare la motivazioni, anche le proprie: misurare la percentuale di dedizione, di servizio e quella di amor proprio e gratificazione.
E se analizziamo troppo, giudichiamo troppo, finiamo per paralizzarci, per non fare più niente. Il che potrebbe anche essere una bella scappatoia, ma non ci fa fare molta strada, ne a noi ne agli amici che ci sono vicini con i quali condividiamo il nostro faticoso quotidiano cammino.

Fonte: Blog di Padre Renato Kizito Sesana

3 marzo 2009

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