Afghanistan: la guerra infinita
AGI Mondo ONG
La strategia politico-militare in Afghanistan è impostata sullo scontro di tutti contro tutti, e quindi su una non-vittoria. Nato e Stati Uniti sono orientati a confermarla. Il punto del generale Fabio Mini.
Il messaggio della Farnesina diretto ai rappresentanti delle ong in Afghanistan invita praticamente tutti i cooperanti non afgani a lasciare il Paese. Non è un consiglio, ma una "disposizione" alla quale il nostro ministero degli Esteri si aspetta che tutti si adeguino. Il motivo è il "sensibile deterioramento delle condizioni di sicurezza in tutto l'Afghanistan" di recente segnalato dalla nostra ambasciata a Kabul.
Una situazione senza controllo
Dopo anni di ipocrisie, di successi reclamati e di risorse sprecate viene finalmente dato un segnale concreto sulla sicurezza in Afghanistan: il linguaggio misurato tradisce una situazione senza controllo, senza istituzioni in grado di funzionare, senza referenti affidabili. Non esistono "terzi" che possono sentirsi al sicuro, neppure quelli che si dedicano alla ricostruzione e alla solidarietà. Tutti sono coinvolti direttamente nella violenza e nel conseguente rischio personale. I responsabili delle ong devono andarsene lasciando i progetti nelle mani dei locali come un qualsiasi subappalto. Purtroppo se i rappresentanti stranieri se ne andassero i progetti fallirebbero. Non perché gli afgani non siano in grado di portare a termine un progetto, ma perché la responsabilità della cooperazione, della partecipazione, della testimonianza e della solidarietà di fronte ai donatori e ai sostenitori non è la loro. Questa "irresponsabilità" rende i locali ancora più vulnerabili e se lasciati soli correrebbero rischi maggiori. La disposizione ministeriale, nella sua drammatica laconicità, non dice perché tutto questo succede oggi, dopo otto anni di occupazione militare delle più potenti forze armate del mondo. Otto anni di operazioni militari a tutto campo e otto anni di vita di un governo afgano voluto dalla comunità internazionale e segnato dall'impotenza e dalla corruzione pur avendo alle spalle (o sulle spalle) le armi degli Stati Uniti e della Nato. In realtà la situazione è sempre stata drammatica. Fatti salvi alcuni periodi di miglioramento, più per auspicio che per prospettiva concreta, in Afghanistan la sicurezza non è mai stata garantita né dalle forze straniere né tanto meno dalle polizie e forze armate locali sulle quali si è tanto investito. Questo lo sanno benissimo le ong che hanno vissuto sul territorio, e lo ha sempre saputo la nostra ambasciata a Kabul, anche se per motivi politici lo poteva soltanto sussurrare. Non è successo nulla di repentino che abbia fatto cambiare il quadro di sicurezza e non ci si dovrebbe stupire delle misure suggerite.
La guerra infinita
Il deterioramento è stato continuo e non per colpa delle ong, o di un ipotetico nuovo nemico o di nuove forze destabilizzatici che si sono aggiunte ai talebani, ma per le stesse potenzialità e peculiarità del tessuto sociale, tribale e politico afgano e regionale. Ma soprattutto il deterioramento è il risultato di un approccio politico-militare impostato sullo scontro di tutti contro tutti, sulla guerra infinita e quindi sulla non-vittoria. E allora deve stupire e imbarazzare il fatto che la situazione di grave insicurezza generata da una strategia perdente abbia indotto a mettere in allarme le ong e non a far riflettere le stesse autorità politico-militari degli Stati Uniti e della Nato. Sembrava che il nuovo approccio statunitense all'Afghanistan dovesse essere più cooperativo e sembrava che le ong dovessero avere un posto di rilievo nella nuova strategia. Ora sembra che Stati Uniti e Nato si apprestino a ribadire la vecchia. Chiedendo altre forze e risorse, ma senza testimoni.
Il generale Fabio Mini, ex comandante della missione Nato in Kosovo, oggi collabora con 'Limes', 'la Repubblica' e l''Espresso' come esperto di geo-politica. Il suo ultimo libro si intitola 'Soldati' (Einaudi, 2008)
Fonte: OngAgiMondo
Editoriale Febbraio 2009