Amnesty: Italia xenofoba
Junko Terao
Il Rapporto 2008 sui diritti umani mette in guardia l’Italia e i suoi politici che usano un linguaggio razzista alimentando un clima da caccia alle streghe. Preoccupazione anche per il "pacchetto sicurezza".
Non fa sconti Amnesty International. E soprattutto non ne fa all’Italia. Nel presentare ieri il Rapporto 2008, l’organizzazione si è richiamata idealmente ai sessant’anni della Dichiarazione dei diritti dell’uomo del ‘48. Ma Paolo Pobbiati, presidente di AI Italia, ha detto che se chi l’ha vergata potesse adesso leggerne gli effetti, rimarrebbe assai deluso. Specie osservando con la lente dei diritti negati quanto avviene oggi nel nostro paese. La relazione sul Belpaese è stata affidata a Daniela Carboni: voce gentile ma staffilate senza appello a cominciare da una “legittimazione del linguaggio razzista” che ha fatto subito venire in mente le critiche di Madrid. Inevitabile il riferimento al clima di caccia alle streghe nei confronti dei cittadini rumeni e in particolare contro i rom, iniziato con l’omicidio di Giovanna Reggiani da parte di un rumeno, secondo alcuni di etnia rom, il 31 ottobre scorso. Nel Rapporto si dice chiaramente che tale clima xenofobo è stato alimentato dalle “dichiarazioni che alludevano a responsabilità collettive di minoranze e gruppi di migranti” da parte di esponenti politici. A cominciare dall’allora sindaco di Roma Walter Veltroni, secondo cui “prima dell’ingresso della Romania nell’Ue, Roma era la metropoli più sicura del mondo”. Pochi giorni dopo Gianfranco Fini ha dichiarato, riferendosi ai rom:“mi chiedo come sia possibile integrare chi considera pressoché lecito e non immorale il furto, il non lavorare perché devono essere le donne a farlo magari prostituendosi, e non si fa scrupolo di rapire bambini o di generare figli per destinarli all’accattonaggio. Parlare di integrazione per chi ha una ‘cultura’ di questo tipo non ha senso”. Un concentrato di stereotipi che riassumono bene il clima xenofobo che si respira in questi giorni. Non da meno è stato il prefetto di Roma Carlo Mosca, che in seguito al primo provvedimento preso dal governo – il decreto legge urgente sulle espulsioni firmato il 2 novembre, secondo cui le autorità possono motivare l’espulsione di cittadini Ue sulla base di un “pericolo per la sicurezza pubblica” – ha fatto sapere: “La linea dura è necessaria perché di fronte a delle bestie non si può che rispondere con la massima severità”. Parole che hanno fatto rizzare i capelli all’Alto Commissariato Onu per i rifugiati, che ha espresso preoccupazione per il clima di intolleranza e per lo “stato di tensione nei confronti degli stranieri alimentato negli anni anche da risposte demagogiche alle tematiche dell’immigrazione messe in atto dalla politica”. Stesso monito anche dal presidente dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa che ha messo in guardia l’Italia circa il rischio di una “caccia alle streghe”. Interventi che non hanno avuto effetto, dato che nei mesi successivi sono seguite dichiarazioni analoghe. Come risultato di questa campagna, sostenuta anche da molti media, AI ricorda i violenti attacchi a campi rom che si sono verificati nel corso del 2007 fino ad oggi, per ultimo l’incendio del campo di Ponticelli a Napoli, nonché le numerose aggressioni ai danni di cittadini stranieri, come il l’episodio del Pigneto. Proprio in seguito all’attacco di Ponticelli l’Osce, che si occupa della sicurezza in Europa, ha espresso preoccupazione per la retorica anti-rom e anti-immigrati degli ultimi mesi che rischia di aumentare gli episodi di violenza. Un timore condiviso dall’Onu, che a marzo aveva denunciato le condizioni di “segregazione di fatto” dei rom in Italia, privi di accesso ai servizi essenziali. L’Italia è sotto accusa anche per il “pacchetto sicurezza” che introduce una serie di misure – tra cui il reato di immigrazione clandestina – che, in assenza di una legge organica sull’asilo, mettono a rischio anche i minori migranti e i richiedenti asilo. “Desolante”, infine, è per AI il quadro legislativo italiano in materia di tortura e diritti umani, gravemente lacunoso dato che nel nostro codice penale non compare ancora il reato di tortura, aumentando il rischio di impunità per le forze dell’ordine che non devono rispondere del loro operato a nessun organismo indipendente di controllo né a nessuna istituzione nazionale di monitoraggio dei diritti umani.
Fonte: Lettera22 e il Manifesto
28 maggio 2008