La grande farsa della pace
Zvi Shuldiner
Nel passato
Il “grande processo di pace” mostra il suo fallimento ufficiale nel bel mezzo delle celebrazioni per i 60 anni di Israele. Il presidente Bush è arrivato a Gerusalemme per la seconda volta in pochi mesi, ma questa volta ormai non si sforza di nascondere il fallimento della grande farsa organizzata pochi mesi fa in Usa. Il presidente israeliano Shimon Peres ha incassato un trionfo diplomatico e appare l’unico statista in un paese preoccupato per la debolezza del suo governo.
Il premier Olmert, così abile nell’impelagarsi in questioni illegali – dalle quali esce sempre “indenne” – è adesso impelagato fino al collo, indagato per concussione e corruzione e per i finanziamenti illeciti alle sue passate campagne elettorali.
Già prima di questi avvisi di garanzia, la popolarità di Olmert non era certo al suo massimo, ma adesso è al minimo storico. E per far fronte al problema, che c’è di meglio se non la grande conferenza di Peres e il lustro degli incontri con così tanti statisti?
Da Gorbachov a Kissinger, dai presidenti dei paesi baltici, ai grandi capitalisti, tutto ha fatto paralizzare la città di Gerusalemme e “ha dato la stura” ai nostri leader che si sono autoentusiasmati per le celebrazioni dei 60 anni di Israele. Il problema sta nel fatto che le dichiarazioni di Olmert non convincono più nessuno e molti pensano che servano, ancora una volta, a distogliere l’opinione pubblica dai suoi problemi con la giustizia.
Che c’è di meglio dell’arrivo di Bush?
Il presidente americano a Annapolis aveva promesso la firma di un trattato di pace prima della fine del suo mandato. La sua visita di solo pochi mesi fa a Israele sembrava confermare la linea di un vero impegno di pace nella regione, però – a parte le parole – la realtà è ben diversa.
La politica americana di Bush, Cheney e i suoi compari ha significato quasi otto anni di recessione globale e il ritorno a pratiche che sembravano ormai dimenticate come quella dell’imperialismo”.
Poco dopo l’11 settembre del 2001, l’amministrazione Bush ha trovato il pretesto per realizzare i piani dell’ala più aggressiva dell’amministrazione americana, l’ala che sostiene che il declino americano a livello globale può essere frenato solo con l’uso della forza, ossia mettendo in pratica in Afghanistan e in Iraq la tesi dell’”asse del male”.
Però Halliburton e le società legate al gruppo Carlyle e a vari gruppi di Wall Street continuano a incassare guadagni straordinari. Molti sostengono che il prezzo enorme di un barile di petrolio incida solo sulle tasche di alcuni arabi avidi e corrotti, e dimenticano che gli enormi guadagni delle compagnie petrolifere americane, e non solo, sono cresciuti in modo esponenziale.
Nel passato – e così anche oggi – si diceva che l’antisemitismo è il socialismo degli stupidi. Oggi questo vale anche per l’anti – islamismo che si è trasformato in uno dei più efficaci strumenti della politica della paura. In Israele, in Italia, in tutta Europa e nell’occidente in generale, l’anti-islamismo è uno dei tratti distintivi degli imbecilli che giocani al gioco della guerra.
Bush e la “pace”.
In questo contesto è davvero ingenuo pensare che questa amministrazione americana possa cambiare gli assi portanti della sua politica. Le guerre americane costano centinaia di migliaia di milioni di dollari che non tutti pagano e da cui pochi traggono enormi profitti.
La speranza delle negoziazioni con Abu Mazen e il suo gruppo è accompagnata dalle solite dichiarazioni per cui non si deve trattare con i terroristi.
Ovvio: Hamas è un gruppo di criminali, non solo per gli attacchi alla popolazione civile israeliana, ma soprattutto perché è disposto a far pagare alla sua gente il prezzo altissimo della sua politica avventuriera e criminale. I missili, gli assassinii e le rappresaglie israeliane dell’ultima settimana sono il frutto della politica – ormai storica – di Hamas che pretende di proporre ogni accordo con il suo nemico come frutto della sua forza, della sua capacità militare.
Tuttavia, non si tratta solo della necessità di trattare con Hamas: si tratta di arginare la politica americana, israeliana e europea che conduce alla divisione e alla frammentazione della società palestinese. Il dialogo con Hamas sarà un passaggio imprescindibile per tornare a quella unità palestinese che è la conditio sine qua non per ogni trattativa di pace significativa.
Bush arriva con un messaggio in linea con la politica che ha imposto a livello globale e il suo contributo alla pace impegnarsi a livello globale nella crociata “democratica” contro “l’asse del male”, gli imbecilli e gli ingenui continueranno a seminare paura con il pericolo islamico e le popolazioni continueranno a pagare il prezzo di questa politica criminale.
Continuare ad isolare Hamas vorrà dire inasprire il conflitto e aprire la porta a nuove azioni militari. La tranquillità nel sud di Israele o la liberazione del soldato Gilad Shalit non si avvicinano con questa politica cieca.
Fonte: il Manifesto
15 maggio 2008