Terrorismo e doppiogiochismo


Piero Piraccini


Pochi anni fa ho compiuto un bel viaggio da Roma a Cesena con Antonio Gambino, giornalista cofondatore dell’Espresso, di recente scomparso, invitato da La parola a presentare il libro Esiste davvero il terrorismo?


CondividiShare on FacebookTweet about this on TwitterEmail to someoneGoogle+
terrorism

 

Pochi anni fa ho compiuto un bel viaggio da Roma a Cesena con Antonio Gambino, giornalista cofondatore dell’Espresso, invitato da La parola a presentare il libro Esiste davvero il terrorismo?. Bel viaggio perché Gambino – di recente scomparso – era persona di grande signorilità, profondo conoscitore di avvenimenti internazionali. Affascinava ascoltarlo dei suoi dialoghi con personaggi del recente passato, da Moshe Dayan a Moravia a Pasolini, ascoltare lo svolgimento dei fatti da parte di chi quei fatti li aveva vissuti. Parlò anche di terrorismo, evidentemente, tema che avrebbe sviluppato poche ore dopo. In una serata poco partecipata, come succede spesso, perché è vulgata di questi tempi ritenere di sapere già tutto, di non avere bisogno di ascoltare alcun testimone, ammenochè sia già conosciuto dai talk televisivi. Perché così va il mondo. E si vede come va.                                                                                                                                                                                                                           Questa la tesi di Gambino. Il concetto di terrorismo dovrebbe essere “elevato” al punto da includervi tutte le forme di violenza collettiva che, comunque sia, coinvolgono come vittime “soggetti terzi”, per cui potrebbe essere qualificata “terroristica”, e quindi illegale, ogni azione che, nel corso di uno scontro fra Stati o entità collettive, coinvolga individui che non sono combattenti in uno dei due schieramenti. Dunque, non si possono fare distinzioni – la morte è sempre morte, scrive Gambino – fra uccisioni da parte di fanatici che si dichiarano seguaci dell’Islam o da chi col fosforo bianco ha soffocato a migliaia gli abitanti di Falluja e, prima ancora, a decine di migliaia gli abitanti di Dresda. Concludendo che, a fronte della guerra senza confini dichiarata all’Occidente da estremisti islamici, ci sono due strade: continuare come si fa da decenni perché a fronte di “fatti esecrabili commessi dagli altri”, prescindendo dai delitti commessi dai “nostri” nelle recenti guerre e durante i trascorsi colonialismi, si deve pur far qualcosa (guerre preventive o umanitarie con il corollario di bombe intelligenti) o dar vita a un quadro internazionale che sostituisca a una situazione di dominio militare/economico/culturale unilaterale una reciproca collaborazione, un con-dominio lo chiama Gambino. Ritengo che senza un quadro di riferimento più ampio rispetto ai fatti di questi giorni, sì Parigi, ma anche l’aereo russo abbattuto nel Sinai, le stragi di Beirut, di Ankara e così via, non se ne esce. O meglio, si esce col solito riflesso pavloviano: la guerra. Che, per fortuna, l’Italia (almeno stavolta Renzi la dice giusta) non mette fra le priorità. E poi, guerra contro chi? L’IS, sì. Ma dove? In Libia? in Siria? in Nigeria (ché i Bokorama sono la stessa cosa)? Inoltre, c’è già chi da diversi mesi sta combattendo l’IS: l’esercito curdo, ad esempio e gli Hezbollah libanesi (fuori gioco dalla comunità internazionale perché ritenuti terroristi) e da un po’la Francia e la Russia. Per ora con scarsi risultati. Domanda: chi fornisce all’IS armi e pick up, chi compra il petrolio che estrae dai pozzi? Chi gli fornisce la montagna di denaro e di tecnologie informatiche che mostra di possedere? Hilary Clinton, (intervista al giornale web “The Atlantic), ha affermato che l’IS è stato creato anche dagli Usa col compito di destituire il dittatore siriano Assad. Solo che la creatura è sfuggita di mano. Qualcosa del genere è successo tempo fa in Afghanistan quando gli Usa finanziarono i talebani per combattere i sovietici. Dunque, non si tratta di decidere se fare la guerra o meno. Il problema è un po’ più ampio e la risposta un po’ più complessa. Anche perché chi decide la guerra, di solito non la fa: la fa fare. Differenza non da poco. Si tratta di far ricorso al diritto internazionale, all’ONU in primis e all’Europa, entrambi tanto deboli quanto necessari, e al mondo islamico nel suo complesso perché non si può prescindere da una comunità che conta un miliardo e mezzo di persone. E imporre coerenza, aldilà del facile pianto che segue ogni strage. Chi glielo ha fatto fare alla Merkel di recarsi da Erdogan poco prima delle elezioni turche? A quei tempi ero da quelle parti e guardavo la TV (guardavo, non conoscendo la lingua). Ogni telegiornale rimandava più volte la piena sintonia che i due statisti mostravano. Certo, la Merkel voleva limitare l’ingresso in Germania di altri profughi siriani, Erdogan voleva rassicurare i suoi elettori dopo la strage di pacifisti. E però Erdogan bombarda l’esercito curdo ed abbatte il jet russo, i quali a loro volta combattono l’IS. E Obama concorda con Erdogan mentre porta le esercitazioni NATO ai confini con la Russia.

 

CondividiShare on FacebookTweet about this on TwitterEmail to someoneGoogle+

Lascia un commento