S.Sede: immigrati, male l’indifferenza dell’Ue
RaiNews
Per la Santa Sede la “gran parte” degli immigrati in arrivo dalle altre sponde del Mediterraneo “sono rifugiati che hanno diritto di asilo, ad un’accoglienza che deve essere coordinata con l’Ue”.
L’osservatore permanente presso le agenzie dell’Onu, arcivescovo Silvano Maria Tomasi, risponde indirettamente al ministro dell’Interno Angelino Alfano sul rischio che gli immigrati portino via il lavoro agli italiani, e lo fa – nel contesto di una critica all’insensibilità e indifferenza dell’Ue – proprio ricordando “l’evidenza della necessità di mano d’opera e di rafforzamento demografico che i paesi europei hanno hanno per mantenere un’economia efficace e influenza politica”. “In questa situazione – dice monsignor Tomasi alla Radio Vaticana – fare degli emigrati il capro espiatorio di frustrazioni sociali e strumentalizzarli per obiettivi elettorali diventa una strategia, un meccanismo poco onesto che favorisce la paura dell’altro e il pregiudizio”.
Per la Santa Sede, che attraverso il suo rappresentante a Ginevra chiama in causa l’Onu a tutela di chi fugge dalle guerre e dalla miseria, la “gran parte” degli immigrati in arrivo dalle altre sponde del Mediterraneo “sono rifugiati che hanno diritto di asilo, ad un’accoglienza che deve essere coordinata con l’Ue”. “Mi pare che anzitutto si debba chiamare con il nome giusto queste persone che fuggono dalla violenza, dall’oppressione e da situazioni che mettono la loro vita in pericolo”, spiega Tomasi ricordando che “la solidarietà non può essere solo una teoria”. L’arcivescovo critica così l’Ue per aver negato gli aiuti all’Italia per far fronte all’arrivo di nuovi immigrati ma mette in guardia anche dalle strumentalizzazioni politiche di queste vicende, il cui risultato, denuncia monsignor Tomasi, “è la riduzione dell’immigrato a persona di seconda classe. Ci si focalizza sulla funzione economica dell’immigrato senza dare priorità al fatto che è una persona con un volto, un sorriso, delle aspirazioni come ogni altro essere umano”.
Secondo Tomasi, “la luce rossa d’allarme del disfunzionamento nelle relazioni tra Paesi è anzitutto data dal numero delle vittime, gli emigrati che si trovano sepolti nel cimitero silenzioso che è diventato il Mediterraneo. Le stime che riportano come dal 2000 al 2013 circa 23.000 immigrati siano morti nel tentativo di raggiungere i punti di entrata in Europa: Grecia, Lampedusa, Canarie, Spagna, non possono lasciarci insensibili”.
“La globalizzazione dell’indifferenza – chiede Tomasi citando le parole di Papa Francesco a Lamepdusa – deve essere vinta davanti a questa tragedia europea”. Nemmeno conosciamo, soggiunge il presule, “le vittime anonime non contate dagli organismi di controllo e monitoraggio delle frontiere”. “C’è il rischio – osserva in proposito Tomasi – di assuefarsi alle notizie di questi barconi che trascinano
sottacqua individui e famiglie con bambini che avevano investito tutto per cercare una vita decente”. Per il rappresentante vaticano, “il primo passo” da compiere è “l’applicazione coerente delle regole già concordate, il rispetto degli strumenti di protezione in vigore, per esempio, le convenzioni dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro e, anche per i paesi ricchi, l’accettazione della Convenzione Internazionale sulla Protezione dei Lavoratori Migranti e delle loro Famiglie approvata dalle Nazioni Unite nel 1990 ed entrata in vigore alcuni anni più tardi”. “Provvedere – cioè – a canali legali per l’arrivo di rifugiati e migranti indispensabili per l’economia dei paesi sviluppati e l’applicazione dei diritti umani sono misure che possono migliorare subito la governance delle migrazioni”.
Ed è necessario – conclude Tomasi ringraziando l’Alto commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati per la decisione di affrontare il prossimo dicembre nel suo Dialogo internazionale la questione della protezione in mare – che se ne occupi l’Onu perché “il fenomeno è globale e tocca i ‘boat people’ che tentano di entrare in Australia, i latinoamericani che attraversano il deserto dell’Arizona, gli haitiani che si imbarcano verso la Florida. La risposta ai tentativi disperati di tante persone forzate a lasciare la loro terra non è un ulteriore rafforzamento dei controlli o addirittura la militarizzazione dei confini, politiche che spingono i migranti a muoversi su cammini più pericolosi o ad affidarsi a mercanti di carne umana”.
Fonte: http://www.rainews.it
20 Agosto 2014
all’insensibilità e indifferenza dell’Ue – proprio ricordando “l’evidenza della necessità di mano d’opera e di rafforzamento demografico che i paesi europei hanno hanno per mantenere un’economia efficace e influenza politica”. “In questa situazione – dice monsignor Tomasi alla Radio Vaticana – fare degli emigrati il capro espiatorio di frustrazioni sociali e strumentalizzarli per obiettivi elettorali diventa una strategia, un meccanismo poco onesto che favorisce la paura dell’altro e il pregiudizio”.
Per la Santa Sede, che attraverso il suo rappresentante a Ginevra chiama in causa l’Onu a tutela di chi fugge dalle guerre e dalla miseria, la “gran parte” degli immigrati in arrivo dalle altre sponde del Mediterraneo “sono rifugiati che hanno diritto di asilo, ad un’accoglienza che deve essere coordinata con l’Ue”. “Mi pare che anzitutto si debba chiamare con il nome giusto queste persone che fuggono dalla violenza, dall’oppressione e da situazioni che mettono la loro vita in pericolo”, spiega Tomasi ricordando che “la solidarietà non può essere solo una teoria”. L’arcivescovo critica così l’Ue per aver negato gli aiuti all’Italia per far fronte all’arrivo di nuovi immigrati ma mette in guardia anche dalle strumentalizzazioni politiche di queste vicende, il cui risultato, denuncia monsignor Tomasi, “è la riduzione dell’immigrato a persona di seconda classe. Ci si focalizza sulla funzione economica dell’immigrato senza dare priorità al fatto che è una persona con un volto, un sorriso, delle aspirazioni come ogni altro essere umano”.
Secondo Tomasi, “la luce rossa d’allarme del disfunzionamento nelle relazioni tra Paesi è anzitutto data dal numero delle vittime, gli emigrati che si trovano sepolti nel cimitero silenzioso che è diventato il Mediterraneo. Le stime che riportano come dal 2000 al 2013 circa 23.000 immigrati siano morti nel tentativo di raggiungere i punti di entrata in Europa: Grecia, Lampedusa, Canarie, Spagna, non possono lasciarci insensibili”.
“La globalizzazione dell’indifferenza – chiede Tomasi citando le parole di Papa Francesco a Lamepdusa – deve essere vinta davanti a questa tragedia europea”. Nemmeno conosciamo, soggiunge il presule, “le vittime anonime non contate dagli organismi di controllo e monitoraggio delle frontiere”. “C’è il rischio – osserva in proposito Tomasi – di assuefarsi alle notizie di questi barconi che trascinano
sottacqua individui e famiglie con bambini che avevano investito tutto per cercare una vita decente”. Per il rappresentante vaticano, “il primo passo” da compiere è “l’applicazione coerente delle regole già concordate, il rispetto degli strumenti di protezione in vigore, per esempio, le convenzioni dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro e, anche per i paesi ricchi, l’accettazione della Convenzione Internazionale sulla Protezione dei Lavoratori Migranti e delle loro Famiglie approvata dalle Nazioni Unite nel 1990 ed entrata in vigore alcuni anni più tardi”. “Provvedere – cioè – a canali legali per l’arrivo di rifugiati e migranti indispensabili per l’economia dei paesi sviluppati e l’applicazione dei diritti umani sono misure che possono migliorare subito la governance delle migrazioni”.
Ed è necessario – conclude Tomasi ringraziando l’Alto commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati per la decisione di affrontare il prossimo dicembre nel suo Dialogo internazionale la questione della protezione in mare – che se ne occupi l’Onu perché “il fenomeno è globale e tocca i ‘boat people’ che tentano di entrare in Australia, i latinoamericani che attraversano il deserto dell’Arizona, gli haitiani che si imbarcano verso la Florida. La risposta ai tentativi disperati di tante persone forzate a lasciare la loro terra non è un ulteriore rafforzamento dei controlli o addirittura la militarizzazione dei confini, politiche che spingono i migranti a muoversi su cammini più pericolosi o ad affidarsi a mercanti di carne umana”. – See more at: http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Immigrazione-Santa-sede-13ac84c9-5a90-4deb-b537-935e02c634dc.html?refresh_ce#sthash.aLKPtXI3.dpuf
all’insensibilità e indifferenza dell’Ue – proprio ricordando “l’evidenza della necessità di mano d’opera e di rafforzamento demografico che i paesi europei hanno hanno per mantenere un’economia efficace e influenza politica”. “In questa situazione – dice monsignor Tomasi alla Radio Vaticana – fare degli emigrati il capro espiatorio di frustrazioni sociali e strumentalizzarli per obiettivi elettorali diventa una strategia, un meccanismo poco onesto che favorisce la paura dell’altro e il pregiudizio”.
Per la Santa Sede, che attraverso il suo rappresentante a Ginevra chiama in causa l’Onu a tutela di chi fugge dalle guerre e dalla miseria, la “gran parte” degli immigrati in arrivo dalle altre sponde del Mediterraneo “sono rifugiati che hanno diritto di asilo, ad un’accoglienza che deve essere coordinata con l’Ue”. “Mi pare che anzitutto si debba chiamare con il nome giusto queste persone che fuggono dalla violenza, dall’oppressione e da situazioni che mettono la loro vita in pericolo”, spiega Tomasi ricordando che “la solidarietà non può essere solo una teoria”. L’arcivescovo critica così l’Ue per aver negato gli aiuti all’Italia per far fronte all’arrivo di nuovi immigrati ma mette in guardia anche dalle strumentalizzazioni politiche di queste vicende, il cui risultato, denuncia monsignor Tomasi, “è la riduzione dell’immigrato a persona di seconda classe. Ci si focalizza sulla funzione economica dell’immigrato senza dare priorità al fatto che è una persona con un volto, un sorriso, delle aspirazioni come ogni altro essere umano”.
Secondo Tomasi, “la luce rossa d’allarme del disfunzionamento nelle relazioni tra Paesi è anzitutto data dal numero delle vittime, gli emigrati che si trovano sepolti nel cimitero silenzioso che è diventato il Mediterraneo. Le stime che riportano come dal 2000 al 2013 circa 23.000 immigrati siano morti nel tentativo di raggiungere i punti di entrata in Europa: Grecia, Lampedusa, Canarie, Spagna, non possono lasciarci insensibili”.
“La globalizzazione dell’indifferenza – chiede Tomasi citando le parole di Papa Francesco a Lamepdusa – deve essere vinta davanti a questa tragedia europea”. Nemmeno conosciamo, soggiunge il presule, “le vittime anonime non contate dagli organismi di controllo e monitoraggio delle frontiere”. “C’è il rischio – osserva in proposito Tomasi – di assuefarsi alle notizie di questi barconi che trascinano
sottacqua individui e famiglie con bambini che avevano investito tutto per cercare una vita decente”. Per il rappresentante vaticano, “il primo passo” da compiere è “l’applicazione coerente delle regole già concordate, il rispetto degli strumenti di protezione in vigore, per esempio, le convenzioni dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro e, anche per i paesi ricchi, l’accettazione della Convenzione Internazionale sulla Protezione dei Lavoratori Migranti e delle loro Famiglie approvata dalle Nazioni Unite nel 1990 ed entrata in vigore alcuni anni più tardi”. “Provvedere – cioè – a canali legali per l’arrivo di rifugiati e migranti indispensabili per l’economia dei paesi sviluppati e l’applicazione dei diritti umani sono misure che possono migliorare subito la governance delle migrazioni”.
Ed è necessario – conclude Tomasi ringraziando l’Alto commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati per la decisione di affrontare il prossimo dicembre nel suo Dialogo internazionale la questione della protezione in mare – che se ne occupi l’Onu perché “il fenomeno è globale e tocca i ‘boat people’ che tentano di entrare in Australia, i latinoamericani che attraversano il deserto dell’Arizona, gli haitiani che si imbarcano verso la Florida. La risposta ai tentativi disperati di tante persone forzate a lasciare la loro terra non è un ulteriore rafforzamento dei controlli o addirittura la militarizzazione dei confini, politiche che spingono i migranti a muoversi su cammini più pericolosi o ad affidarsi a mercanti di carne umana”. – See more at: http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Immigrazione-Santa-sede-13ac84c9-5a90-4deb-b537-935e02c634dc.html?refresh_ce#sthash.aLKPtXI3.dpuf
all’insensibilità e indifferenza dell’Ue – proprio ricordando “l’evidenza della necessità di mano d’opera e di rafforzamento demografico che i paesi europei hanno hanno per mantenere un’economia efficace e influenza politica”. “In questa situazione – dice monsignor Tomasi alla Radio Vaticana – fare degli emigrati il capro espiatorio di frustrazioni sociali e strumentalizzarli per obiettivi elettorali diventa una strategia, un meccanismo poco onesto che favorisce la paura dell’altro e il pregiudizio”.
Per la Santa Sede, che attraverso il suo rappresentante a Ginevra chiama in causa l’Onu a tutela di chi fugge dalle guerre e dalla miseria, la “gran parte” degli immigrati in arrivo dalle altre sponde del Mediterraneo “sono rifugiati che hanno diritto di asilo, ad un’accoglienza che deve essere coordinata con l’Ue”. “Mi pare che anzitutto si debba chiamare con il nome giusto queste persone che fuggono dalla violenza, dall’oppressione e da situazioni che mettono la loro vita in pericolo”, spiega Tomasi ricordando che “la solidarietà non può essere solo una teoria”. L’arcivescovo critica così l’Ue per aver negato gli aiuti all’Italia per far fronte all’arrivo di nuovi immigrati ma mette in guardia anche dalle strumentalizzazioni politiche di queste vicende, il cui risultato, denuncia monsignor Tomasi, “è la riduzione dell’immigrato a persona di seconda classe. Ci si focalizza sulla funzione economica dell’immigrato senza dare priorità al fatto che è una persona con un volto, un sorriso, delle aspirazioni come ogni altro essere umano”.
Secondo Tomasi, “la luce rossa d’allarme del disfunzionamento nelle relazioni tra Paesi è anzitutto data dal numero delle vittime, gli emigrati che si trovano sepolti nel cimitero silenzioso che è diventato il Mediterraneo. Le stime che riportano come dal 2000 al 2013 circa 23.000 immigrati siano morti nel tentativo di raggiungere i punti di entrata in Europa: Grecia, Lampedusa, Canarie, Spagna, non possono lasciarci insensibili”.
“La globalizzazione dell’indifferenza – chiede Tomasi citando le parole di Papa Francesco a Lamepdusa – deve essere vinta davanti a questa tragedia europea”. Nemmeno conosciamo, soggiunge il presule, “le vittime anonime non contate dagli organismi di controllo e monitoraggio delle frontiere”. “C’è il rischio – osserva in proposito Tomasi – di assuefarsi alle notizie di questi barconi che trascinano
sottacqua individui e famiglie con bambini che avevano investito tutto per cercare una vita decente”. Per il rappresentante vaticano, “il primo passo” da compiere è “l’applicazione coerente delle regole già concordate, il rispetto degli strumenti di protezione in vigore, per esempio, le convenzioni dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro e, anche per i paesi ricchi, l’accettazione della Convenzione Internazionale sulla Protezione dei Lavoratori Migranti e delle loro Famiglie approvata dalle Nazioni Unite nel 1990 ed entrata in vigore alcuni anni più tardi”. “Provvedere – cioè – a canali legali per l’arrivo di rifugiati e migranti indispensabili per l’economia dei paesi sviluppati e l’applicazione dei diritti umani sono misure che possono migliorare subito la governance delle migrazioni”.
Ed è necessario – conclude Tomasi ringraziando l’Alto commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati per la decisione di affrontare il prossimo dicembre nel suo Dialogo internazionale la questione della protezione in mare – che se ne occupi l’Onu perché “il fenomeno è globale e tocca i ‘boat people’ che tentano di entrare in Australia, i latinoamericani che attraversano il deserto dell’Arizona, gli haitiani che si imbarcano verso la Florida. La risposta ai tentativi disperati di tante persone forzate a lasciare la loro terra non è un ulteriore rafforzamento dei controlli o addirittura la militarizzazione dei confini, politiche che spingono i migranti a muoversi su cammini più pericolosi o ad affidarsi a mercanti di carne umana”. – See more at: http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Immigrazione-Santa-sede-13ac84c9-5a90-4deb-b537-935e02c634dc.html?refresh_ce#sthash.aLKPtXI3.dpuf