La pace che non ci sarà


Roberto Prinzi - Nena News


Le trattative di pace tra israeliani e palestinesi languono. Il Segretario Usa Kerry parla di un prolungamento oltre aprile, ma i palestinesi sono compatti a rifiutare qualunque proroga.


CondividiShare on FacebookTweet about this on TwitterEmail to someoneGoogle+

Le trattative di pace tra israeliani e palestinesi languono. Il Segretario Usa Kerry parla di un prolungamento oltre aprile, ma i palestinesi sono compatti a rifiutare qualunque proroga. Intanto un sondaggio commissionato dal gruppo israeliano Yisrael Yozemet mostra che la stragrande maggioranza degli israeliani sono per la pace. A patto che siano escluse le istanze palestinesi.

Secondo il sito israeliano Walla, il 76% degli israeliani è favorevole alla pace con i palestinesi perché la nascita di uno stato di Palestina nei confini del 1967 con capitale Gerusalemme est e con una “soluzione conciliatoria riguardo ai rifugiati” promuoverebbe “relazioni pacifiche tra Israele e gli stati arabi ed islamici”.

A commissionare il sondaggio è stato il gruppo israeliano Iniziativa di Pace israeliana – Yisrael Yozemet su un campione di 500 ebrei israeliani il 52% dei quali si è descritto come di destra, il 28% di estrema destra e di centro e il 16% di sinistra. Per il 72% degli intervistati Israele vuole raggiungere un accordo che metta fine al conflitto, ma per il 77% sono i palestinesi a non volere la pace. Il 63% ha affermato di essere favorevole ad un accordo di pace tra lo stato ebraico e i paesi islamici anche a costo di qualche “concessione” senza però specificare che cosa si intenda con questo termine. Su Gerusalemme, uno dei temi più caldi del conflitto, il 49% ha detto di sostenere una intesa solo sui quartieri arabi di Gerusalemme Est.

Quanto ai luoghi sacri, il 49,9% degli intervistati ha affermato che le possibilità di un accordo aumenterebbero se questi “fossero gestiti da Israele, dagli stati arabi e da una terza parte internazionale”. Netta chiusura, invece, sui rifugiati dove le possibilità di “compromesso” si riducono drasticamente. Per il 73,9% solo un numero simbolico (e dopo approvazione di Tel Aviv) può ritornare in quella che ora è Israele.

Dati che non lasciano ben sperare (soprattutto sui punti chiave del conflitto) ma che tuttavia hanno il pregio di fotografare le distanze abissali che separano i due popoli.

Differenze ribadite anche ieri dal negoziatore palestinese Sa’eb ‘Erekat. Contraddicendo il Segretario di Stato Usa John Kerry, ‘Ereket ha affermato che l’Autorità Palestinese non tratterà più con gli israeliani oltre il termine fissato di fine aprile. “Non ha alcun senso prolungare le negoziazioni, nemmeno per un’ora, se Israele con il suo governo attuale continua a non rispettare la legge internazionale” ha tuonato.

Kerry aveva detto ad inizio settimana che un accordo definitivo tra le due parti avrebbe potuto richiedere altri nove mesi se non di più oltre la fine di aprile, data limite per raggiungere un “accordo quadro” tra le controparti palestinese ed israeliana.

La risolutezza di ‘Erekat ha trovato tutti i palestinesi d’accordo. Hanan Ashrawi, membro della Commissione Esecutiva dell’Olp, gli ha fatto eco: “non siamo interessati ad ulteriori negoziazioni. Il presidente si è impegnato a ritornare alle negoziazioni fino ad aprile. Questo è il periodo di tempo stabilito”. Ashrawi ha poi aggiunto: “non abbiamo intenzione di dare ad Israele altro tempo per espandere gli insediamenti, continuare la giudizzazione di Gerusalemme e le operazioni di pulizia etnica a danno dei palestinesi”.

Un grosso aiuto all’unione palestinese la sta dando indubbiamente Kerry. Tre giorni fa il quotidiano palestinese al-Quds ha rivelato la proposta del Segretario Usa di stabilire la capitale del futuro stato di Palestina a Beit Hanina (a nord della Città Santa in direzione Ramallah) invece che nell’attuale Gerusalemme est occupata. Secondo al-Quds il piano americano avrebbe mandato su tutte le furie il Presidente Abbas che avrebbe lasciato anzitempo l’incontro con Kerry minacciando di far fallire il (finto) processo di pace in corso. Ma l’idea Beit Hanina è solo l’ultima proposta shock per i palestinesi presentata dal Segretario Usa. Kerry ha, infatti, obbligato l’Autorità Palestinese a riconoscere l’ebraicità dello stato israeliano, ha sostenuto uno scambio di territori vantaggiosissimo per Tel Aviv (10 blocchi di insediamenti in Cisgiordania per qualche manciata di terra israeliana da “concedere” ai palestinesi). E non pago ha poi aggravato la rabbia dei palestinesi proponendo la costruzione di una “possente barriera di sicurezza” lungo il Giordano allo scopo di assecondare le richieste di “sicurezza” di Netanyahu. Israele, secondo il Segretario Usa, verrebbe così autorizzato anche in futuro a pattugliare il confine tra Cisgiordania e la Giordania: nei primi anni da solo, in seguito assieme a forze palestinesi

A complicare lo stato delle trattative, disperate sin dalle loro premesse di luglio, il governo israeliano sembra provare piacere. Ieri l’ufficio del premier Netanyahu ha smentito le notizie di una eventuale evacuazione di migliaia di coloni come passo per raggiungere un accordo finale con i palestinesi. Citando fonti vicine ai negoziatori, il quotidiano israeliano Ma’ariv ha sostenuto che le colonie saranno divise in tre categorie: i larghi blocchi saranno annessi ad Israele mentre le altre o cadranno sotto la sovranità palestinese o saranno evacuate, “con la forza se necessario”.

Fonte: http://nena-news.it
1 marzo 2014

CondividiShare on FacebookTweet about this on TwitterEmail to someoneGoogle+

Lascia un commento