24 ottobre 1945-2015. La Carta delle Nazioni Unite compie 70 anni


Antonio Papisca - Marco Mascia


La sfida: dalle coalizioni multinazionali di comodo al legittimo multilateralismo istituzionale.


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cartaonu70

Il 24 ottobre 2015 ricorre il 70° anniversario dell’entrata in vigore della Carta delle Nazioni Unite, lo Statuto della massima organizzazione mondiale deputata a mantenere la pace e la sicurezza internazionale, risolvere pacificamente i conflitti, promuovere il rispetto dei diritti umani e lo sviluppo sostenibile.

Il dilagare delle guerre e di altre forme di violenza impedisce che la celebrazione di questo importante anniversario avvenga in un’atmosfera di festa. Questa circostanza non deve però fiaccare la volontà di discernere e la speranza di trovare soluzioni adeguate ad arginare il drammatico disordine in atto.

Le diagnosi, necessariamente complesse e drammatiche come esige l’attuale momento storico, non devono esaurirsi in se stesse e costituire alibi per non impegnarsi a formulare le necessarie prescrizioni e intraprendere azioni conseguenti.

Con questa precisazione, la nostra risposta si articola in più direzioni e su più livelli, convinti che occorre procedere con determinazione sulla via istituzionale alla pace partendo da una triplice consapevolezza.

La prima è che il diritto internazionale fondato sulla Carta delle Nazioni Unite e sulla Dichiarazione universale dei diritti umani, dà ragione ai pacifisti e ai difensori dei diritti umani, come dire: abbiamo nelle nostre mani un formidabile strumento di pressione per perseguire obiettivi di autentico bene comune.

La seconda è che, sul terrreno dei fatti, l’ONU è ciò che i governi dei suoi stati membri, in particolare i più forti, vogliono che sia, contravvenendo ai principi e ai fini fissati nello Statuto.

La terza è che, nell’era della globalizzazione, per portare avanti una governance che sia in corretto rapporto di scala con l’ordine di grandezza delle sfide, non c’è alternativa al multilateralismo incarnato dall’Organizzazione delle Nazioni Unite.

Nel mondo globalizzato e interdipendente, c’è infatti bisogno di governance democratica multilivello, rispettosa del principio di sussidiarietà, il cui polo territoriale in basso è costituito dagli enti di governo locale e il polo terminale in alto è quello delle Nazioni Unite.

La sovranità degli stati deve cedere da un lato al primato dei diritti umani, quindi alla centralità della persona umana, dall’altro all’autorità sopranazionale delle Nazioni Unite e di altre legittime istituzioni di governance regionale. Il riferimento è in particolare al sistema di sicurezza collettiva, da gestire con autorità sopranazionale come previsto dall’articolo 2, comma 7 e dalle disposizioni dei Capitoli VI,VII e VIII della Carta.

In questo contesto non c’è posto per l’intrusione-usurpazione di potere effettuato, in via tendenzialmente permanente, da ‘raggruppamenti’ multinazionali quali quelli che operano sotto la lettera ‘G’ (G7, G8, G20) o da occasionali ‘coalizioni’ politico-militari. Questo illegale frazionamento di poteri e funzioni, dove prevalgono gli interessi egoisticamente nazionali, non risolve i conflitti e allo stesso tempo paralizza l’operatività degli strumenti di legittima governance internazionale e sopranazionale.

Quanto sta avvenendo nelle aree insanguinate dalle guerre e in quelle che negano accoglienza ai profughi, è come un cancro in rapida metastasi, con conseguenze sempre più destabilizzanti.

Produzione e commercio di armi, proliferazione del nucleare e diffusione delle cosiddette armi leggere attestano che continua ad imperare la vecchia, nefasta logica del “si vis pacem para bellum”. Non soltanto non c’è disarmo, non c’è neppure controllo del commercio. Le armi prodotte dai nostri ‘civilissimi’ paesi prendono vie sempre più tortuose e finiscono anche nelle mani della criminalità transnazionale e delle reti terroristiche.

Oltre che insistere nel denunciare questa situazione di persistente, flagrante illegalità e lottare per lo sviluppo del multilateralismo efficace e democratico, occorre affrontare con determinazione, una volta per tutte, la riforma delle Nazioni Unite all’insegna di “rafforzare e democratizzare”.

Occorre tra l’altro creare una assemblea parlamentare composta da delegazioni dei parlamenti nazionali, che rompa l’opaco autoreferenzialismo dei vertici intergovernativi, e dando più ruolo alle Ong e agli enti di governo locale.

Occorre anche sfidare i governi affinchè sia abrogato lo scandaloso, anacronistico articolo 106 della Carta (Disposizione transitoria XVIIa) che recita:

«In attesa che entrino in vigore accordi speciali, previsti dall’articolo 43, tali, secondo il parere del Consiglio di Sicurezza, da rendere ad esso possibile di iniziare l’esercizio delle proprie funzioni a norma dell’articolo 42, gli Stati partecipanti alla Dichiarazione delle Quattro Potenze, firmata a Mosca il 30 0ttobre 1943, e la Francia, giusta le disposizioni del paragrafo 5 di quella Dichiarazione, si consulteranno fra loro e, quando lo richiedono le circostanze, con altri Membri delle Nazioni Unite in vista di quell’azione comune necessaria al fine di mantenere la pace e la sicurezza internazionale».

Occorre quindi subito iniziare una campagna per l’implementazione dell’art. 43:

«1. Al fine di contribuire al mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, tutti i Membri delle NU si impegnano a mettere a disposizione del Consiglio di Sicurezza, a sua richiesta ed in conformità ad un accordo o ad accordi speciali, le forze armate, l’assistenza e le facilitazioni, compreso il diritto di passaggio, necessarie per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. (…)
3. L’accordo o gli accordi saranno negoziati al più presto possibile su iniziativa del Consiglio di Sicurezza. Essi saranno conclusi tra il Consiglio di Sicurezza ed i singoli Membri, oppure tra il Consiglio di Sicurezza e i gruppi di Membri, (…)».

La messa in comune, in via permanente, di forze militari nazionali da riconvertire in corpo di polizia militare delle Nazioni Unite, costituisce l’inizio del disarmo reale.

A impegnarsi a compiere questo passo, in funzione di traino nei riguardi di altri stati, può essere l’Italia, forte delle sue esemplari esperienze in Mozambico e, attualmente, in Libano con la missione Unifil. Con questo gesto, l’Italia potrebbe a giusto titolo richiamare gli altri stati membri dell’Unione Europea all’osservanza di quanto dispongono in particolare gli articoli 3 e 21 del Trattato di Lisbona:

«Nelle relazioni con il resto del mondo l’Unione … contribuisce alla pace, alla sicurezza, allo sviluppo sostenibile dell terra … e alla rigorosa osservanza e allo sviluppo del diritto internazionale, in particolare al rispetto dei principi della Carta delle Nazioni Unite» (art. 3).

«L’azione dell’Unione sulla scena internazionale si fonda sui principi che ne hanno informato la creazione, lo sviluppo e l’allargamento e che essa si prefigge di promuovere nel resto del mondo: democrazia, Stato di diritto, universalità e indivisibilità dei diritti umani e delle libertà fondamentali, rispetto della dignità umana, principi di uguaglianza e di solidarietà e rispetto dei principi della Carta delle Nazioni Unite e del diritto internazionale. … L’Unione promuove soluzioni multilaterali ai problemi comuni, in particolare nell’ambito delle Nazioni Unite. … L’Unione definisce e attua politiche comuni e azioni e opera per assicurare un elevato livello di cooperazione in tutti i settori delle relazioni internazionali al fine di: … consolidare e sostenere la democrazia, lo stato di diritto, i diritti umani e i principi del diritto internazionale; preservare la pace, prevenire i conflitti e rafforzare la sicurezza internazionale, conformemente agli obiettivi e ai principi della Carta delle Nazioni Unite, …» (art. 21).

Dal canto suo, la Nato deve tornare a rispettare il proprio statuto e limitarsi ad operare nel rigoroso rispetto della legalità internazionale, esclusivamente nell’ambito del proprio spazio territoriale.

Negli stati in preda alla violenza, dove è palese l’incapacità dei governi di adempiere alle proprie funzioni, la risposta della comunità internazionale deve avvenire nel rispetto della Carta delle Nazioni Unite.

L’intervento di più o meno estemporanee coalizioni ‘multinazionali’ ad hoc, con bombardamenti che distruggono ma non risolvono, è fuori dalla legalità internazionale.

In presenza di stati paralizzati dalle violenze, deve prendersi in considerazione l’opportunità che la Comunità internazionale in quanto tale si faccia carico di realizzare forme di “amministrazione fiduciaria” da gestire, non ad opera di uno stato o di gruppi di stati, ma direttamente dalle Nazioni Unite con la collaborazione delle pertinenti Organizzazioni regionali e con la partecipazione di adeguate forze di peace-enforcing, peace-keeping e peace-building.

In questo operare, che pertiene al campo della politica, dell’azione giudiziaria e delle operazioni di polizia internazionale (militare e civile) da condurre, ribadiamo con forza, sotto autorità e comando sopranazionale delle Nazioni Unite, i bombardamenti devono essere assolutamente interdetti.

Nello specifico caso del cronico conflitto israelo-palestinese, in presenza del sostanziale fallimento dei tentativi di pace esperiti dal cosiddetto ‘quartetto’ e da ripetuti negoziati bilaterali, oltre che dar seguito alle risoluzioni delle NU del 1967, occorre conferire a Gerusalemme lo status di “Distretto Mondiale delle Nazioni Unite” a complemento e garanzia dello status di capitale di due stati e due popoli, insediandovi una adeguata struttura ONU, civile e militare, coadiuvata da Unesco, Consiglio d’Europa, Lega degli Stati Arabi, Unione Europea, Comunità di Stati Indipendenti, Unione Africana.

Tenuto conto del fatto che anche in Italia è stata disposta per legge la costituzione di Corpi civili di pace, si prospetta l’opportunità di creare all’interno delle Nazioni Unite un coordinamento strutturato dei Corpi civili di pace nazionali.

In conclusione, ribadiamo che non esistono ragionevoli alternative all’Organizzazione delle Nazioni Unite e, più in generale, al multilateralismo legittimamente e trasparentemente fondato e gestito. Con urgenza bisogna rilanciarne il ruolo anche attraverso la convocazione di una sessione straordinaria dell’Assemblea Generale, come proposto da Federico Mayor Saragoza, accompagnata da una Convenzione globale di società civile, come nella prassi dei ‘forum paralleli’ delle ONG in occasione delle grandi Conferenze mondiali delle Nazioni Unite.

Nel frattempo occorre intensificare la campagna internazionale per il riconoscimento della pace quale diritto fondamentale della persona e dei popoli, esigendo che il Consiglio Diritti Umani delle Nazioni Unite, dove è in corso un aspro dibattito sul tema, recepisca nel testo della auspicata Dichiarazione l’articolo 1 della bozza preparata dal Comitato Consultivo, organo indipendente del suddetto Consiglio:

“1. Gli individui e i popoli hanno diritto alla pace. Questo diritto deve essere realizzato senza alcuna distinzione o discriminazione per ragioni di razza, discendenza, origine nazionale, etnica o sociale, colore, genere, orientamento sessuale, età, lingua, religione o credo, opinione politica o altra, condizione economica o ereditaria, diversa funzionalità fisica o mentale, stato civile, nascita o qualsiasi altra condizione.
2. Gli Stati, individualmente o congiuntamente, sono controparte principale del diritto alla pace.
3. Il diritto alla pace è universale, indivisibile, interdipendente e interrelato.
4. Gli Stati sono tenuti per obbligo giuridico a rinunciare all’uso e alla minaccia della forza nelle relazioni internazionali.
5. Tutti gli Stati, in conformità ai principi della Carta delle Nazioni Unite, devono usare mezzi pacifici per risolvere qualsiasi controversia di cui siano parte.
6. Tutti gli Stati devono promuovere lo stabilimento, il mantenimento e il rafforzamento della pace internazionale in un sistema internazionale basato sul rispetto dei principi enunciati nella Carta delle Nazioni Unite e sulla promozione di tutti i diritti umani e libertà fondamentali, compresi il diritto allo sviluppo e il diritto dei popoli all’autodeterminazione”.

prof. Antonio Papisca
Cattedra UNESCO “Diritti Umani, Democrazia e Pace”, Università di Padova

prof. Marco Mascia
Direttore del Centro di Ateneo per i Diritti Umani, Università di Padova

Fonte: http://unipd-centrodirittiumani.it

24 ottobre 2015

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