2007, il “barometro” della solidarietà non premia l’Italia
La redazione
Pubblichiamo l’indagine promossa da Volontari nel mondo – Focsiv in collaborazione con il Centro interdipartimentale di ricerca e servizi sui diritti della persona e dei popoli – Università di Padova, Famiglia Cristiana, Undp e Doxa.
Nato da una esperienza maturata dal Ccfd – Comitè Catholique contre la Faim et pour le Development – che ha promosso l’analoga ricerca in Francia dimostrando come un tale strumento sia utile e necessario per meglio comprendere la realtà del paese in cui viviamo, il Barometro della Solidarietà degli Italiani giunge quest’anno alla sua terza edizione.
La ricerca, come nelle precedenti pubblicazioni, è stata nuovamente condotta dalla Doxa che ha garantito la raccolta dei dati e, da quest’anno, con la proficua e significativa collaborazione del Centro Interdipartimentale di ricerca e servizi sui diritti della persona e dei popoli dell’Università di Padova. Due partenariati importanti, il primo atto a garantire la scientificità della ricerca, il secondo a testimoniare l’alto livello di questo lavoro con la collaborazione di una Università così fortemente impegnata nella tutela della pace e dei diritti umani.
Questa iniziativa, che ricordiamo si fonda su di un campione di popolazione italiana altamente rappresentativo, costituito da 3.000 persone intervistate, ci permette di conoscere con buona precisione le tendenze degli italiani in materia di solidarietà internazionale, e se da una parte ciò dà a noi gli strumenti per essere maggiormente consapevoli del nostro modo di operare e di renderci conto di qual è la percezione degli italiani sul nostro lavoro, dall’altra è uno strumento validissimo per comunicare ai decisori politici quali sono le priorità degli italiani quando parliamo di solidarietà internazionale.
Un “barometro” è tale in quanto strumento atto a misurare le variazioni nel tempo di un fenomeno e prevedere le tendenze future. Questa edizione 2007 dimostra come dal 2001 non è mutato di molto il contesto internazionale: la lotta al terrorismo e la questione della sicurezza nazionale continuano ad influenzare pesantemente la politica estera di molti paesi e ad ispirare guerre e conflitti per una sicurezza intesa solo nella sua accezione politico-strategica piuttosto che nel senso di sicurezza umana. Contemporaneamente, però, il rapporto annuale sull’economia 2006 dell’ISTAT rileva come in Italia povertà e disuguaglianza siano sempre alte. L’Italia, infatti, si colloca assieme a Portogallo, Spagna, Irlanda e Grecia (oltre che a Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia e Romania) nel gruppo dei paesi con più alta disuguaglianza interna.
Sono dati che testimoniano come la forchetta tra ricchezza e povertà va via via aumentando, sia nel nord che nel sud del mondo. Un divario che se oggi si estende anche ai paesi ricchi, mantiene dimensioni drammatiche nei sud del mondo ed in particolare nella regione dell’Africa sub sahariana. Il recente rapporto sullo stato di attuazione degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio (MDGs) pubblicato recentemente dall’UNDP registra dal 1990 ad oggi lievi progressi per le diverse aree geografiche tranne che per l’Africa sub-sahariana che di fatto è rimasta totalmente esclusa da ogni reale progresso in materia di miglioramento delle condizioni di vita delle sue popolazioni.
Secondo questo rapporto “il loro successo finale resta ancora incerto” e viene confermato come gli Obiettivi non verranno raggiunti senza una radicale inversione di rotta. I dati confermano queste conclusioni: se nel 1990 c’erano 1.250 milioni di persone in condizioni di povertà estrema, nel 2005 sono 980 milioni. Allo stesso tempo però, il consumo dei più poveri è crollato dal 4,6 al 3,9 per cento del totale dei consumi.
La povertà stagnante nel sud e la crescente povertà nel nostro paese trova un riscontro nei risultati della ricerca. È questa una situazione planetaria alla quale, ancora una volta, i cittadini italiani dimostrano di saper rispondere con una evidente disponibilità.
La solidarietà degli italiani si conferma come una delle caratteristiche ancora riscontrate a livelli elevati in questa terza edizione del “barometro”, anche se le condizioni non certo esaltanti della nostra economia nazionale spesso inducono un ricorso ampio alla delega in favore delle istituzioni e ancor più delle ONG che continuano a godere di una grande credibilità e fiducia presso l’opinione pubblica del nostro paese.
La richiesta alle istituzioni pubbliche nazionali, Governo in primis, di un impegno più deciso nella solidarietà con le povertà del mondo resta comunque un tratto chiaramente emergente dall’analisi dei dati raccolti. L’incremento dei fondi destinati alla cooperazione allo sviluppo da veicolare attraverso le organizzazioni internazionali, in particolare le agenzie delle Nazioni Unite, e i progetti promossi dalle Organizzazioni Non Governative e di Volontariato, le ONG, è una delle tendenze messe in luce dalla ricerca, che al tempo stesso individua negli italiani anche alcuni orientamenti strategici.
Primo fra tutti, quello di ricorrere per il reperimento di tali risorse alla riduzione delle spese per gli armamenti e per le politiche militari considerate secondarie, se non addirittura inopportune, a fronte di quelle che vengono percepite come le grandi emergenze attuali, a partire dalla fame nel mondo, dalla disoccupazione e dalla necessità della pace per tutti.
Il “Barometro della solidarietà internazionale degli Italiani” rappresenta una base scientifica di valutazione per creare le condizioni per uno sviluppo mondiale tramite una coscienza della mondialità realmente condivisa e diffusa, capace di indirizzare le politiche degli stati e i comportamenti all’interno delle società. Questo valido strumento speriamo che possa essere largamente utilizzato da tutti gli operatori dello sviluppo e dai decisori politici chiamati a definire gli indirizzi ma anche le scelte concrete delle politiche del nostro Paese per orientare le future decisioni e la consapevolezza di chi opera nella solidarietà internazionale.
Direttore Generale
di Volontari nel mondo – FOCSIV
Quali questioni, quali urgenze vengono proposte all’attenzione pubblica e all’agenda politica dall’ampio campione rappresentativo degli italiani intervistati?
Su una lista di possibili 14 emergenze internazionali gli intervistati propongono, come nell’ultima rilevazione del 2001, quattro fondamentali aspetti: la fame (47%), la disoccupazione (40%), la pace (39%) ed infine il terrorismo (35%).
La riproposizione di questi aspetti a distanza di sei anni indica l’esistenza negli orientamenti degli italiani di una struttura abbastanza definita di interessi e di preoccupazioni rispetto alla situazione internazionale, che quindi sembrano aver avuto insufficienti risposte di fronteggiamento, almeno nell’immaginario collettivo.
Si tratta di un’articolazione degli orientamenti che poggia sicuramente sulle prime tre dimensioni (fame, disoccupazione e pace) alle quali si è aggiunta, dopo il 2001, quella relativa al terrorismo internazionale come, ad un’analisi più approfondita, mostrano le variazioni tra le rilevazioni del barometro realizzate nel 1999 e nel 2001.
Va comunque evidenziato come l’interesse solidaristico verso la fame nel mondo riceva significativamente una maggiore attenzione delle questioni pur gravi del terrorismo, onnipresenti nel dibattito e nell’agenda politica occidentali.
Solo il 6% ritiene che l’indebitamento debba invece rimanere un impegno che i paesi debitori debbano rispettare per uscire dalla loro condizione di subalternità; una posizione che nel 1999 raccoglieva quasi il doppio delle preferenze (11%).
Il restante 6% di intervistati dichiara di non avere una posizione definita al riguardo.
La posizione di remissione del debito è quindi largamente maggioritaria all’interno della popolazione che mostra di mantenere nel tempo una posizione di assoluta attenzione, nonostante le forti tensioni che hanno caratterizzato e che caratterizzano questi ultimi anni lo sviluppo delle relazioni internazionali.
Le modalità della necessaria cancellazione del debito appaiono differenziarsi tra quanti la considerano necessaria senza alcuna condizione (32%), tra quanti invece pongono alcuni vincoli nell’intrapresa, da parte dei paesi debitori, di una politica di rigore e di risanamento economico (39%) e quanti invece subordinano la cancellazione alla promozione interna dei diritti umani (17%).
Va segnalato che queste tre modalità seguono nel tempo andamenti diversi. In particolare, va sottolineata la continua tendenza alla crescita della componente che ritiene la remissione un atto non soggetto a vincoli: oggi, come detto, questa componente rappresenta il 32% di tutti gli intervistati, mentre nel 1999 raccoglieva solo il 19% di quanti avevano, a suo tempo, partecipato alla rilevazione.
(Aumentare e) Utilizzare meglio gli aiuti
L’identificazione sulla scena internazionale della povertà come elemento di maggiore preoccupazione degli italiani e della cancellazione del debito con i paesi poveri come obiettivo largamente condiviso, pongono in campo il tema attuale dell’aumento o meno degli aiuti diretti ai paesi più poveri.
Va subito osservato che, come nelle precedenti rilevazioni, è pressoché inesistente la quota di quanti ritengono eccessivi gli sforzi fatti e le quantità dell’aiuto (2%). La maggior parte del campione rappresentativo degli italiani richiede invece aumento degli aiuti (64%), ritenendo questi attualmente insufficienti, così come accadeva nelle precedenti rilevazioni.
Ma l’aspetto che più caratterizza questa edizione del barometro, almeno in questi orientamenti, è una maggiore richiesta di controllo e di miglior impiego delle risorse da destinarsi o già destinate alla solidarietà internazionale. La maggiore trasparenza degli aiuti, il loro corretto utilizzo, la valutazione della loro efficacia sono tutti elementi trasversali alle diverse componenti degli intervistati, sia che richiedano o non richiedano un aumento degli aiuti.
E’ questa preoccupazione che fa crescere la quota, seppur minoritaria, dei “rigoristi” che reputano gli attuali aiuti sufficienti se utilizzati in modo corretto e al meglio delle possibilità (29% contro il 22% del 2001).
Le misure da mettere in campo per sostenere le diverse forme dell’aiuto sono individuate soprattutto nella riduzione delle spese militari (64%) e successivamente nell’incremento della solidarietà privata dei cittadini (25%). Scarso (11%) è invece il seguito “popolare” registrato dall’utilizzo delle cosiddette tasse di scopo (es. Tobin Tax).
Quali Paesi aiutare di più
La forte propensione degli italiani all’aiuto dei paesi più poveri non risulta insensibile alla situazione ed alle azioni promosse dei paesi stessi. Dalla prima rilevazione del 1999 a quella attuale, la percentuale di quanti si dichiarano favorevoli ad un aiuto indifferenziato passa progressivamente dal 40% al 23%.
Irrisoria, come emergeva già dalle precedenti domande, la quota di quanti ritengono non necessario aiutare i paesi poveri (3%).
Le condizioni poste all’aiuto richiamano soprattutto due aspetti: l’impegno da parte dei paesi al contrasto degli sprechi e della corruzione (34%; in aumento rispetto alle rilevazioni precedenti) e l’impegno nel rispetto delle regole della vita democratica (32%).
Non indifferenti sono gli altri aspetti, soprattutto quelli riguardanti il rispetto dei diritti delle donne e in generale dei diritti umani (24%; in sensibile aumento rispetto al 9% del 1999) e il contrasto alla riduzione delle disuguaglianze sociali (22%).
In definitiva i due principali criteri da adottare nella scelta dei paesi da aiutare con maggiore forza sono da una parte un elemento di “responsabilità” (contrasto alla corruzione e agli sprechi) e dall’altra un elemento politico (garanzia delle condizioni democratiche).
Come nelle precedenti occasioni, ma in modo ancor più accentuato, circa due terzi degli intervistati richiamano l’Organizzazione delle nazioni unite ad un maggiore esercizio di responsabilità nell’indirizzare e convogliare tali risorse (73%; era il 66 nel 1999).
Segue a distanza, ma sempre ad un discreto valore del richiamo alla responsabilità, l’unione Europea (50%; era il 42% nel 1999).
Preferenze istituzionali che superano di gran lunga l’attribuzione di responsabilità attribuita al G8 (39%), pur qui considerato.
La concentrazione delle preferenze sui due grandi attori istituzionali (Onu e Ue), dovuta in gran parte alla complessità delle problematiche tecniche, politiche ed economiche su cui intervenire, non impedisce che gli intervistati valorizzino l’impegno espresso da organismi ed organizzazioni di portata più circoscritta ed espressione delle componenti più solidaristiche espresse dalla società civile: le organizzazioni non governative e l’associazionismo internazionale. A questi ultimi il 39% degli italiani riconosce un ruolo ed una responsabilità che, se necessariamente più ridotta di quella accordata alle grandi istituzioni internazionali, non appare niente affatto secondaria. Un riconoscimento che, nel tempo, appare costante e che sopravanza altri soggetti ed istituzioni ritenuti, per ragioni diverse, meno coinvolgibili.
I dati sono evidenti: se gli italiani reputano che debbano essere i grandi organismi internazionali ad essere competenti nell’individuazione e nell’erogazione degli aiuti, alle associazioni di aiuto umanitario sono riconosciute capacità ed affidabilità almeno pari, se non superiori, a quelle registrate dalle grandi istituzioni.
Nel complesso le Ong e le analoghe associazioni di aiuto umanitario riscuotono un livello di fiducia elevato (67%) che le colloca al primo posto nell’ipotetica graduatoria dell’affidabilità stilata dagli intervistati. Un’affidabilità, del resto, che le tre rilevazioni del barometro dimostrano essere molto costante nel tempo a riprova della robustezza di queste convinzioni nell’opinione pubblica.
Livelli di affidabilità che riscuotono, pressoché con la stessa intensità di quella riscossa dalle Ong, anche le azioni umanitarie promosse dalla Chiesa e dai suoi missionari (65%).
Forte riconoscimento della titolarità degli aiuti alle istituzioni internazionali e valorizzazione e fiducia nelle Ong e nella Chiesa sembrano quindi essere, nelle convinzioni degli italiani, due aspetti imprescindibili e che vanno entrambi valorizzati nelle loro differenti valenze e funzioni.
Il dispiegamento dell’esercito può essere compatibile, in determinate situazioni di emergenza internazionale, con lo sviluppo della cooperazione e gli aiuti umanitari oppure i due strumenti di intervento sono tra loro fortemente in alternativa?
In particolare, rispetto all’azione dell’esercito italiano si ha, da parte delle istituzioni, una produzione discorsiva, a volte retorica, che tende a differenziare la sua azione, ritenuta più sensibile alle esigenze di aiuto delle popolazioni in difficoltà, da quelle svolte dalle forze armate di altri paesi anche europei.
Le opinioni degli italiani intervistati non sono affatto omogenee e si distribuiscono, seppure con differente intensità, su tutte e tre le posizioni che erano state loro proposte.
La risposta che riscuote maggiore adesione (48%) è quella che ritiene compatibile il ricorso all’esercito italiano solo in alcuni casi di emergenza umanitaria e comunque sotto l’egidia delle Nazioni Unite.
Segue, con il 30% delle adesioni, la posizione che ritiene l’esercito italiano, proprio per le sue caratteristiche, non essere mai uno strumento d’intervento in contrasto con la cooperazione allo sviluppo. Poco più di un italiano su cinque ritiene infine che il ricorso alle forze armate nazionali non sia mai uno strumento da mettere in campo nelle azioni a carattere umanitario.
Il Barometro, come nelle precedenti edizioni, ha voluto sondare alcuni orientamenti degli italiani in merito alla questione dell’immigrazione e sui legami tra questa e la cooperazione allo sviluppo.
I risultati ottenuti, pur in presenza di alcune variazioni, ripropongono la struttura su cui poggiano le convinzioni rilevate sia nel 1999 che nel 2001.
La grande maggioranza (81%; 10 punti percentuali in più rispetto al 2001) ritiene che gli immigrati siano troppi a fronte delle capacità di assorbimento economiche e sociali dell’Italia. Un giudizio severo che però lascia spazio ad un diffuso (47%), anche se non maggioritario, riconoscimento che i lavoratori immigrati rappresentano una risorsa indispensabile ed una ricchezza in senso lato per la società italiana. E un’altra componente, non certo irrisoria (36%), che reputa che l’accoglienza dei lavoratori immigrati sia un modo per sostenere ed aiutare i paesi poveri.
Infine, largamente diffusa (80%) è l’idea che la riduzione dei flussi migratori passi attraverso consistenti aiuti economici ai paesi di provenienza e il rilancio della cooperazione internazionale.
La donazione in denaro ed oggetti
Non includendo in queste forme solidaristiche le opzioni per l’utilizzo dell’8‰ e del 5‰ da indicare nelle dichiarazioni annuali del proprio reddito, è il 44% degli italiani a perseguire questo tipo di pratica. Un quota pressoché simile a quella rilevata nel 2001 e sensibilmente inferiore a quella del 1999 che si era attestata sul 58%.
Occorre comunque aggiungere che chi dona tende a farlo più volte. Ciò è sicuramente da mettere in connessione con la tendenza all’estrema diversificazione e flessibilizzazione delle possibilità di donare. Infatti, per quest’ultima osservazione, ben il 32% di tutto il campione ha versato somme o donato oggetti a favore di una causa di solidarietà più di una volta nell’arco dei dodici mesi precedenti l’intervista.
In questi casi l’atto del donare è svolto sia in forma anonima (46%) che attraverso persone ed organizzazioni personalmente conosciute dal donatore (54%).
Tra quanti effettuano donazioni prevale l’attenzione verso problematiche italiane (38%) rispetto a quelle internazionali (19%), ma spesso queste non conoscono tali divisioni e si orientano verso entrambi gli ambiti territoriali.
Queste donazioni sono rivolte principalmente alla ricerca medica e l’aiuto ai malati (57%), alle emergenze umanitarie (33%) ed alla lotta contro la fame (32%).
Per rispondere a questo quesito si è costruita una tipologia articolata che tiene conto di diversi aspetti: l’impegno personale in specifiche attività di volontariato dedicate alla solidarietà verso persone e gruppi svantaggiati (poveri, malati, emarginati, …), la propensione ad essere coinvolti in un possibile impegno personale per l’aiuto ai paesi più poveri e la propensione alle donazioni.
La combinazione di questi tre aspetti di diversa valenza permette di identificare cinque distinti gruppi di italiani.
Il primo gruppo è quello degli impegnati (6%), cioè di quanti già svolgono in modo concreto e in prima persona un’attività solidaristici, sia in forma individuale che organizzata, sia a livello nazionale che internazionale.
Il secondo gruppo è rappresentato dai disponibili (20%): quanti già fanno delle donazioni economiche e che non sono direttamente impegnati in attività di tipo solidaristico in campo internazionale, ma lo farebbero se si presentassero loro delle opportunità che tenessero conto delle loro disponibilità.
Il terzo gruppo è rappresentato dai donatori (20%), cioè da quanti già hanno fatto donazioni di natura economica.
Il quarto gruppo è riferito agli italiani sensibili (32%). Si tratta di un gruppo numeroso, che pur non avendo fatto donazioni nel corso dell’ultimo anno e non avendo una forma di impegno diretto dichiara una disponibilità di massima ad esprimere delle forme di solidarietà, che vanno dalle donazioni all’impegno vero e proprio. Si tratta di un’area di “compiacenza” che, seppur poco impegnativa a fronte di un sondaggio, dimostra l’esistenza di un ampio gruppo di cittadini, bacino a cui poter far riferimento per sostenere ed ampliare il fronte della solidarietà.
Infine il gruppo degli estranei (22%). Poco più di un italiano su cinque dichiara la sua completa estraneità e disinteresse a qualsiasi forma di solidarietà.