18 ottobre: Giornata europea contro la tratta degli esseri umani
Gruppo Abele
“Se è vero che non si vuole il lavoro nero… la tratta e il grave sfruttamento sui luoghi di lavoro” è il titolo del convegno organizzato presso la sede del Gruppo Abele in occasione della giornata europea contro la tratta degli esseri umani.
Se è vero che non si vuole il lavoro nero…
la tratta e il grave sfruttamento sui luoghi di lavoro
18 ottobre 2010 – Giornata europea contro la tratta degli esseri umani
Fabbrica delle “e”, corso Trapani, 91/b – Torino
ore 8,30 – 17
“Se è vero che non si vuole il lavoro nero… la tratta e il grave sfruttamento sui luoghi di lavoro” è il titolo del convegno organizzato presso la sede del Gruppo Abele in occasione della giornata europea contro la tratta degli esseri umani.
Associazioni, forze di polizia, giuristi, sindacati, ispettorati del lavoro, organizzazioni di categoria dei datori di lavoro e non solo si incontreranno per discutere delle opportunità offerte dalla legge in merito all’emersione del grave fenomeno dello sfruttamento lavorativo e della tratta delle persone.
Ad organizzare l’incontro lo Sportello giuridico Inti del Gruppo Abele, in collaborazione con la Regione Piemonte, ASGI, Caritas Italiana e Cooperativa Lotta Contro l'Emarginazione e con il sostegno degli enti, le associazioni e le sigle sindacali che sostengono l’iniziativa.
Un approfondimento che si è reso necessario vista la difficoltà di emersione dello sfruttamento lavorativo nelle sue diverse forme. Durante l’incontro si confronteranno i rappresentanti dei progetti che hanno incontrato le vittime nei diversi contesti (agricoltura, edilizia, lavoro di cura, ecc.). Verrà presentato il risultato di un monitoraggio su diverse realtà lavorative italiane, proponendo, attraverso queste esperienze, modi e metodi per favorire l’emersione dello sfruttamento sui luoghi di lavoro. Verranno analizzate le possibilità di applicazione degli articoli 17 e 18 del Testo Unico sull’Immigrazione e ampio spazio sarà dato alla discussione, con una tavola rotonda a cui parteciperanno tra gli altri: Paolo Berizzi, giornalista del quotidiano “La Repubblica”, Ciro Vittorio Caramore, magistrato presso la Procura di Novara, Pietro Soldini della Cgil Immigrazione, Angela Kalaydjian, segreteria Cisl di Torino e Piergiorgio Gul, responsabile immigrazione Uil Piemonte.
Il confronto con le varie figure professionali coinvolte e coinvolgibili sarà utile al fine di delineare ulteriori percorsi possibili di intervento.
Il seminario sarà introdotto dagli interventi di don Luigi Ciotti, presidente dell’associazione Gruppo Abele, Oliviero Forti, responsabile nazionale immigrazione di Caritas Italiana e dall’assessore alla politiche sociali della Regione Piemonte Caterina Ferrero.
Informazioni
Gruppo Abele – Sportello Giuridico Inti
tel 011 – 3841024
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Se è vero che non si vuole il lavoro nero…
la tratta e il grave sfruttamento sui luoghi di lavoro
18 ottobre 2010 – Giornata europea contro la tratta degli esseri umani
Il fenomeno dello sfruttamento lavorativo dilaga in Italia e colpisce con più forza chi è fragile, come le persone migranti. Le buone leggi non mancano per tutelare i diritti delle vittime di tratta e sfruttamento non mancano, ma è necessaria una migliore applicazione delle norme esistenti
Giovani, tra i 20 e i 40 anni, in prevalenza uomini celibi o coniugati, ma senza famiglia al seguito, provenienti da Est Europa, Africa, Cina e America latina. È l’identikit dei migranti vittime di tratta e sfruttamento a scopo lavorativo in Italia secondo il monitoraggio presentato oggi dall’associazione Gruppo Abele: «La vita delle persone non si vende e non si compra – ha affermato don Luigi Ciotti, presidente dell’associazione in apertura al seminario su sfruttamento lavorativo e lavoro nero organizzato a Torino dallo sportello giuridico Inti dell’associazione Gruppo Abele in collaborazione con Asgi e Caritas Italiana – e non può chiamarsi civile una società in cui non si producono le condizioni perché la vita sia rispettata. Lo sfruttamento crea ingiustizia e insicurezza sociale e non può esservi vero benessere per nessuno finché questo poggia sulla riduzione dell’altro a strumento di vantaggio per fini economici». Nel gennaio 2010 la rivolta di Rosarno ha portato alla ribalta della cronaca le condizioni di degrado che da anni vivono nel sud Italia i braccianti agricoli immigrati. Arrivati in Italia per intermediazione di caporali, a cui devono una parte del loro futuro guadagno oltre ad una cifra iniziale con cui “comprano” un contratto di lavoro che non verrà mai effettivamente stipulato. Si ritrovano a lavorare per 10-15 ore al giorno percependo un compenso in nero di 20-30 euro per la raccolta di frutta e verdura. Nessuna misura di sicurezza, nessuna copertura assicurativa, vitto e alloggio assicurato in condizioni igieniche spesso fatiscenti dallo stesso datore di lavoro, che in questo modo si guadagna la “riconoscenza” oltre che la totale dipendenza del lavoratore. Oltre che nel settore agricolo, più presente al Sud, lo sfruttamento lavorativo colpisce anche nei settori dell’edilizia e della cura delle persone: «Molte badanti o lavoratrici domestiche – ha spiegato Alessandra D’Angelo per lo Sportello Giuridico Inti – percepiscono compensi in linea con i parametri salariali previsti dai contratti italiani, ma vengono pagate in nero, restando così prive del permesso di soggiorno e spesso vivono nella casa presso cui prestano servizio. Anche per loro, come per molti braccianti, perdere il lavoro significa anche perdere la casa in cui vivere e questo compromette la capacità contrattuale del lavoratore».
Invisibili, privi di legami sociali e sanitari, i migranti sfruttati lavorativamente finiscono spesso per essere intercettati dalle forze dell’Ordine ed espulsi come clandestini, perché non vi sono strumenti e competenze sufficienti per riconoscere e assistere le vittime della tratta a livello lavorativo: «In Italia esiste un sistema normativo riconosciuto a livello internazionale a sostegno delle vittime di tratta che persegue gli sfruttatori – spiega Oliviero Forti per Caritas Immigrazione -. Ma le risposte in quest’ambito si sono indirizzate quasi esclusivamente verso la forma più evidente e raggiungibile dello sfruttamento, quello per fini sessuali. Per quanto riguarda lo sfruttamento lavorativo, a fronte di un dilagare del fenomeno nel nostro Paese, non sono stati rivisti e attualizzati gli strumenti giuridici che avrebbero dovuto aiutare le vittime». L’articolo 18 del Testo Unico per l’Immigrazione prevede il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari nel caso si ravvisino condizioni di grave sfruttamento e il pericolo di subire violenza per la vittima o i suoi familiari. Una norma che consentirebbe ai lavoratori stranieri sfruttati di poter ricostruire un progetto migratorio, eppure, come ha sottolineato l’avvocato dell’Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione, Lorenzo Trucco: «Sono ancora pochi i casi di applicazione dell’articolo 18 per persone vittime di sfruttamento lavorativo, perché a differenza dei casi di sfruttamento a fini sessuale, è più difficile dimostrare tramite indagine la presenza del reato di sfruttamento lavorativo». In pochi denunciano gli sfruttatori, per paura e perché non ravvisano l’utilità che potrebbe scaturire dall’avvio di una vertenza nei confronti dei datori di lavoro: «Nel fare vertenza la persona migrante, a cui pure lo Stato garantisce la tutela in caso di sfruttamento lavorativo – ha sottolineato l’avvocato Marco Paggi (Asgi) – teme di poter essere successivamente espulso e per questo rinuncia ai propri diritti e accetta le condizioni di lavoro dettate dallo sfruttatore. La paura è cresciuta con l’emanazione del cosiddetto pacchetto sicurezza – prosegue – che prevede l’espulsione obbligatoria degli immigrati non in regola con il permesso di soggiorno».
I migranti sfruttati svolgono un’attività lavorativa e vorrebbero essere messi in regola, invece: «i loro diritti sono sempre più compromessi da una normativa in materia di immigrazione che li confina nella clandestinità – ha spiegato Ornella Obert per lo sportello Inti – e nell’impossibilità di far valere i diritti che sarebbero di tutti i lavoratori».
Le associazioni e gli enti che operano per la tutela delle persone vittime di tratta e sfruttamento lavorativo guardano con fiducia al recepimento della direttiva europea che introduce sanzioni e provvedimenti nei confronti di datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare e che apre delle possibilità di regolarizzazione per i lavoratori presenti in modo irregolare sul territorio (direttiva 2009/52/CE): «Con questo ultimo strumento – spiega Paggi – pensato appositamente per lo sfruttamento lavorativo e il lavoro nero, assieme ad una corretta applicazione delle norme vigenti in Italia, la tutela dei diritti dei lavoratori stranieri potrebbe fare un considerevole passo in avanti».